Ferrari, ecco perché difendo “l’odiato” Montezemolo: i numeri non sono un’opinione

Il “licenziamento” di Luca Cordero di Montezemolo da parte di Sergio Marchionne è l’ultimo atto di un processo che porta la Fiat e la Ferrari a dismettere un’italianità che ormai sta stretta per i piani globali di Marchionne. Ma le sconfitte in questa F1 con i motori ibridi dipendono da un ritardo di tutto il Gruppo FCA. Trasferirne la responsabilità solo sull’uscente presidente della Ferrari è una scorciatoia che non avrà le gambe lunghe

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Andando indietro nel tempo, il mio primo ricordo di una gara di Formula 1 risale a un piovoso GP di Monaco del 1975, quando sulle Ferrari c’erano Niki Lauda e Clay Regazzoni. Ricordo l’airscope della 312 T3 sfrecciare nella zona del porto. Ricordo il salto di un giovane e capellone direttore sportivo sul traguardo, giubilante il successo di Lauda.

Naturalmente tifavo per il ticinese, per diverse ragioni, anche evanescenti oggi, con un’esperienza umana diversa: era “italiano”, mentre Lauda era “tedesco”; correva “da solo”, mentre Lauda godeva del supporto spudorato del direttore sportivo della Ferrari: Luca Cordero di Montezemolo.

Da allora iniziò un certo “odio” per Montezemolo, che in cuor mio consideravo responsabile del mancato decollo della carriera di Regazzoni. Della fanciullezza ho conservato un modellino metallico della Ferrari 312 T2: è quella di Regazzoni. Ho un caschetto di ceramica, un posacenere trasformato in porta graffette metalliche: riproduce quello di Regazzoni. Ma il mio “odio” per LCDM era ed è sempre stato sportivo.

Tuttavia, il tempo e l’esperienza (ma non diciamoci balle: soprattutto il tempo) mi portano oggi a difendere Montezemolo, con un solo argomento, inoppugnabile, incontrovertibile e verificabile: quello dei numeri.

Non mi riferisco al fatturato del coté industriale della Ferrari, né alla redditività ottenuta dalla vendita delle berlinette con il Cavallino Rampante su sfondo giallo nel logo: quei numeri sono evidenti, ma appassionano il mondo dell’industria, non quello dello sport, non gli appassionati di automobilismo.

Ieri da Cernobbio l’AD della fiat e presidente di FCA – Sergio Marchionne – ha messo in discussione i risultati sportivi ottenuti da Montezemolo e lo ha fatto in un modo troppo evidente ed esibito per farla passare come una dichiarazione estemporanea, gettata lì senza colpo voler ferire: il bersaglio c’era, c’è, lo hanno compreso tutti gli osservatori. Un bersaglio mendace, però, un’accusa ingenerosa, una semplificazione e una scorciatoia che non avranno le gambe lunghe: come le bugie, le gambe saranno cortissime.

I NUMERI – Se consideriamo i 16 titoli costruttori di Formula 1 vinti dalla Ferrari dal 1958 (anno dell’istituzione del titolo), sotto la guida del fondatore della fabbrica e della Scuderia Ferrari ne furono vinti solo cinque: 1961, 1964, 1979, 1982 e 1983. Gli altri 11 sono stati vinti grazie alla indiscutibile gestione di Montezemolo: 1975, 1976, 1977, 2000, 2001, 2003, 2003, 2004, 2007, 2008 (la seconda parte in modo prevalente con il team magico Todt/Brawn/Domenicali/Colajanni/Schumacher).

Se passiamo ad analizzare i 15 titoli iridati piloti, sette vanno alla “gestione Ferrari” (1952, 1953, 1956, 1958, 1961, 1964, 1979) e ben otto alla “gestione Montezemolo” (1975, 1977, 2000, 2001, 2002, 2004, 2004, 2007). A questi otto mancano il titolo del 1976, evaporato per ragioni che abbiamo già raccontato (mancato rispetto della parola data da James Hunt a Niki Lauda), e quello del 2008, in cui la sfortuna e qualche disattenzione si accanirono contro Felipe Massa.

Con i se e con i ma non si fa la storia, anche sportiva, ma se i numeri non sono opinioni, Luca Cordero di Montezemolo ha vinto più di Enzo Ferrari con la Scuderia di Maranello, spingendo il team di F1 in una dimensione industriale ignota prima del suo arrivo nel 1991.

Nelle ultime ore sono circolate le amare riflessioni del presidente uscente della Ferrari, secondo il quale la Ferrari si appresta a diventare per il Gruppo FCA quel che la Lamborghini è per il Gruppo VW-Audi. Un’amara verità, che contrasta con l’intento di Enzo Ferrari di mantenere indipendente “la fabbrica”, quel sogno diventato mito, che ha potuto alimentarsi anche attraverso i risultati costruiti nell’era Montezemolo.

In economia la riconoscenza è un sentimento sconosciuto, ma se Montezemolo non avesse preso le redini del Gruppo Fiat nel 2000 – alla morte di Umberto Agnelli, chiamato da Susanna e dalla vedova dell’Avvocato, Marella Caracciolo, in situazioni drammatiche – la Fiat sarebbe stata smembrata prima, non avrebbe vissuto molto.

Oggi Marchionne addebita a Montezemolo il fatto che dal 2007 la Ferrari non vince un titolo iridato, senza tenere conto dei mondiali combattuti e persi all’ultima gara (può accadere, è accaduto) e senza considerare che il ritardo motoristico della Ferrari con l’attuale regolamento tecnico è anzitutto ascrivibile a una filosofia di fondo – quella della motorizzazione ibrida – che la Mercedes e la Renault hanno già sposato da tempo, mentre il Gruppo Fiat si rifiuta di utilizzare.

Mentre gli altri costruttori mettono in cantiere tecnologie interinali verso l’elettrico, alla Fiat hanno deciso che è un capitolo da non iniziare. Mentre la Mercedes sperimenta soluzioni per ricaricare le batterie dei motori elettrici con metodi fantasiosi (ma efficaci), nel Gruppo Fiat si sperimentano soluzioni che allunghino la vita dei motori a scoppio tradizionali e le uniche ricerche disponibili sui sistemi ibridi sono state ereditate dalla Chrysler. Questo perché Marchionne, anzitutto, non crede nell’elettrico e nei sistemi ibridi.

Montezemolo ha avuto dalla vita tanto, forse più di quanto potesse immaginare. Molto lo ha costruito dovendo superare i pregiudizi che accompagnano le persone che nascono fortunate: alcuni pregiudizi forse erano fondati, altri smentiti del tutto dai numeri.

Per questo motivo difendo “l’odiato” Montezemolo, perché proprio i numeri non si misurano con il cuore e i sentimenti, ma con la testa e i ragionamenti. E con i numeri e i ragionamenti la Ferrari deve ringraziare Montezemolo almeno tanto quanto Montezemolo debba ringraziare la Ferrari.

È vero, a questo mondo tutti siamo utili, nessuno indispensabile. Un giorno varrà anche per Marchionne: si spera solo non sia troppo tardi per risollevare le auto italiane (che non sono più tali) dal pozzo senza fondo in cui sono cadute per la cecità tecnologica di qualcuno.

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John Horsemoon

Sono uno pseudonimo e seguo sempre il mio dominus, del quale ho tutti i pregi e i difetti. Sportivo e non tifoso, pilota praticante(si fa per dire...), sempre osservante del codice: i maligni e i detrattori sostengono che sono un “dissidente” sui limiti di velocità. Una volta lo ero, oggi non più. Correre in gara dà sensazioni meravigliose, farlo su strada aperta alla circolazione è al contrario una plateale testimonianza di imbecillità. Sul “mio” giornale scrivo di sport in generale, di automobilismo e di motorsport, ma in fondo continuo a giocare anche io con le macchinine come un bambino.