Torino Film Festival, Eddie Redmayne racconta la sua metamorfosi in Stephen Hawking

Giunto a Torino per presentare in anteprima “La teoria del tutto”, l’attore inglese ha spiegato le difficoltà nell’interpretare un ruolo così complesso.

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Torino – Eddie Redmayne è stato uno degli ospiti di punta di questa edizione del Torino Film Festival; qui ha potuto presentare in anteprima “La teoria del tutto”, in cui interpreta il geniale astrofisico Stephen Hawking. Durante la conferenza stampa, l’attore londinese ha parlato delle difficoltà da lui affrontate durante la preparazione al ruolo, svelando non pochi retroscena relativi alle riprese e all’incontro proprio con Hawking. Un’interpretazione difficile che potrebbe portarlo alla sua prima nomination all’ Oscar, stando alle ultime indiscrezioni.

Ecco una selezione di domande a Redmayne, nel corso di un incontro con la stampa al Torino Film Festival.

Prima di cominciare le riprese in che modo si è preparato ad affrontare la parte?

Beh, anch’io ho frequentato Cambridge anche se non ho studiato fisica ma storia dell’arte, e mi capitava di vederlo ogni tanto. Aveva veramente l’aria di una rockstar, perché era sempre circondato da gente. Ho letto “Breve storia del tempo” e più o meno tutto quello che Stephen ha pubblicato nella sua carriera. Con questo però non voglio dire che ho capito tutto.

Quando le hanno detto che avrebbe dovuto interpretare Stephen Hawking, ha avuto paura?

In realtà sono stato io a spingere il regista per avere la parte. Avevo letto il copione e ne ero rimasto molto colpito, era una storia unica nel suo genere, quindi volevo a tutti i costi il ruolo. Dopo aver avuto la conferma, all’entusiasmo è seguito però un piccolo momento di panico perché avevo realizzato le difficoltà che questo ruolo avrebbe comportato.

Dal punto di vista fisico, come si è preparato ad un ruolo simile?

Già il giorno seguente la conferma del ruolo sono andato in una clinica specializzata nel trattamento della SLA (Sclerosi Laterale Amiotrofica) e grazie ai dottori ho potuto prendere contatto con circa trenta pazienti e le rispettive famiglie. Era importante, sia per me che per Felicity [Jones, Jane Hawking nel film n.d.r.], capire il costo a livello emotivo che una malattia del genere comporta non solo al paziente, ma anche nel suo riflettersi nella vita familiare. Abbiamo poi visto tantissimi documentari, tutti quelli disponibili su internet, ma la chiave è stata conoscere personalmente Stephen, Jane e i loro figli. È stato veramente un onore poterli incontrare.

È vero che per calarsi fisicamente nella parte è stato seguito da una coreografa?

Non potendo girare il film cronologicamente era fondamentale visualizzare prima dell’inizio delle riprese lo stato fisico in cui mi sarei dovuto calare, perché capitava che nello stesso giorno di girare momenti diversi della vita e della malattia del protagonista. È stato però subito chiaro che la malattia nella vita di Hawking, come nel film, ha un ruolo secondario e la storia che abbiamo voluto raccontarvi parla in realtà del rapporto umano tra due persone. È una storia d’amore. Per quanto riguarda la preparazione fisica, si sono stato seguito da Alexandra Reynolds, una ballerina che mi ha indicato quali muscoli usare per sostenere determinate posizioni. Quindi ho imparato a utilizzare certi muscoli e a non utilizzarne altri. Per quel che riguarda l’espressione facciale, ho recuperato su internet tutto quello di cui avevo bisogno, poi in maniera un po’ maldestra mi mettevo di fronte a uno specchio con il tablet a fianco per cercare di capire come inibire determinati muscoli facciali e isolarne altri.

Dal film si intuisce che non è solo una storia d’amore, ma di amori.

Leggendo lo script mi è sembrato veramente uno studio sull’amore, sulle diverse possibilità d’amore che ognuno di noi incontra nella vita. E questo non riguarda solo l’amore tra due persone, ma anche verso la materia di cui ci si occupa, quindi per la fisica nel caso di Stephen e per la poesia nel caso di Jane, o l’amore familiare, ma anche i limiti e i fallimenti che questo amore comporta. È un’indagine verso il senso della vita.

Che consigli o che tipo di sostegno ha avuto da Stephen e la sua famiglia?

Sono stati molto generosi nei nostri confronti; la tensione era altissima non solo perché interpreti questo tipo di personaggio, ma anche perché sai che è ancora in vita. Stephen invece ci ha messo subito a nostro agio e ci ha dato il suo massimo sostegno, ci ha anche consentito di utilizzare la sua voce sintetizzata, che è protetta da copyright. Avevamo già realizzato una nostra versione, ma il suo dono ci ha permesso di avvicinarci ancora di più a una rappresentazione credibile della vicenda. Quando hanno visto il film e lo hanno apprezzato è stata la ricompensa più grande.

Qual è la sensazione che si prova nell’interpretare un uomo dal corpo inutilizzabile ma dotato di una mente geniale, come si è sentito?

Estremamente fortunato: come ho detto, sono stato in contatto con molte persone affette da questo tipo di malattia e la descrivono come una sorta di prigione in cui le pareti si restringono sempre più. Ho dovuto girare in posizioni molto scomode e difficili da replicare, ma io avevo la fortuna di rialzarmi ogni sera da quella sedia a rotelle e di tornare a casa. Non posso neanche cominciare a immaginare quale possa essere la realtà di una condizione di questo tipo.

Per lei cos’è la teoria del tutto?

Mi è capitato di pensarci molto ultimamente; quando lavoro a teatro, ad esempio, devo mettere in scena la stessa pièce ogni sera, e cerco di migliorare ogni volta un’interpretazione che non sento mai essere completamente giusta, di tendere verso una perfezione irraggiungibile. Quindi per me la teoria del tutto è imparare ad apprezzare questo processo, questa ricerca impossibile della perfezione tipica dell’essere umano.

Il film è molto “british”, in particolare sono molti i riferimenti a Doctor Who, è vero?

Bisognerebbe chiederlo allo sceneggiatore, è suo il merito. Doctor Who è ormai un’istituzione britannica per definizione, una serie che guardavo molto più da ragazzo rispetto ad ora, ma conosco sia Matt Smith che David Tennant e trovo geniali i riferimenti fatti in sede di scrittura. E il momento in cui nel film Stephen imita un Dalek è stato probabilmente uno dei più divertenti durante le riprese.

Dove ti vedremo in futuro?

Al momento sto lavorando al prossimo film di Tom Hooper, con cui ho già collaborato in Les Miserables, dal titolo The Danish Girl. È la vera storia del primo uomo che si trasforma in una donna, un progetto molto interessante.  

La teoria del tutto, di James Marsh, uscirà in Italia il 15 gennaio 2015.

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