Italia, eutanasia di una democrazia?
Franco Marini, uomo di un altro secolo, mette d’accordo PD, PDL e Scelta Civica, mostrando la vetustà delle istituzioni italiane e acclarando, una volta per tutte, l’inadeguatezza della politica italiana di fronte alle sfide contemporanee
Il nome di Franco Marini ha messo d’accordo PD, PDL e Scelta Civica, ed è candidato a diventare il dodicesimo presidente della Repubblica Italiana. Un nome su cui la pubblica opinione non avrebbe riservato un minuto di attenzione, perché il sindacalista abruzzese è un uomo di grande esperienza, ma già nel 1999 era stato proposto per l’ufficio presidenziale, su cui assurse poi Giorgio Napolitano.
Il problema è che oggi l’Italia avrebbe bisogno di un presidente della Repubblica individuato fuori dai partiti e di cultura liberale, perché i problemi che oggi attanagliano il Paese sono il prodotto del fallimento della politica consociativa tra finti conservatori (i democristiani) e finti progressisti (i comunisti prima, le successive variazioni camaleontiche poi). Uniti nel difendere la partitocrazia nata all’indomani della caduta del regime fascista. È stato – fuor di ogni dubbio – la continuazione del fascismo con altri mezzi.
A prescindere dalle analisi politiche su Franco Marini (ma il ragionamento è valido anche per gli altri nomi emersi in questi giorni: Emma Bonino e Stefano Rodotà anzitutto), il dato che ci preme rilevare è che le istituzioni italiane non solo sono vecchie e decrepite, ma appaiono tali anche al più disattento degli osservatori esteri.
Tutta la liturgia della elezione del presidente della Repubblica appare come una funzione antica, medievale. Non ha alcun collegamento con la velocità decisionale che oggi è richiesta a un’impresa efficiente, figurarsi a uno Stato efficiente.
L’Italia avrebbe quindi bisogno di eleggere il proprio capo dello Stato con elezioni a suffragio universale e diretto. Oggi l’Italia necessiterebbe anche di un capo dello Stato che non abbia esperienza politica diretta, ma che abbia competenza politica, politologica, giuridica e istituzionale. L’inventiva italiana è ingabbiata da uno Stato pesantissimo, costosissimo, con un fisco soffocante. Il Belpaese è il posto meno attrattivo per fare impresa e la spinta imprenditoriale ha fatto grandi le nazioni, mentre la depressione della capacità innovativa propria del capitalismo sano (non in quello deviato della finanza internazionale che si ciba del denaro sporto di vari traffici illeciti) ha ucciso le nazioni. Il pensiero di Adam Smith, a 240 anni di distanza, mantiene intatta la sua forza (cfr Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni).
Un nome ottimo sarebbe quello di Piero Ostellino, politologo e giornalista, di formazione e competenza tali da renderlo veramente al di sopra delle parti. Ostellino ha però un peccato originale non mondabile: è un liberale. Agli occhi dei ciechi politici italiani lo rende improponibile.
Quindi, salvo un miracolo divino, che mostrerebbe quanto l’Onnipotente ami gli eredi degli assassini del suo Divin Figlio, queste elezioni presidenziali rischiano di diventare l’avvio dell’eutanasia della democrazia italiana. Ci sono tratti che accomunano quanto avviene oggi in Italia a quel che avvenne nella Francia della Rivoluzione Francese. Ma dopo il Direttorio pochi ricordano che arrivò Napoleone. E non fu proprio quel che si può dire un bagno nel latte d’asina.
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