24 Ore di Le Mans, vittoria senza festa per l’Audi n. 2 di Tom Kristensen, Allan McNish e Loic Duval
Il danese Kristensen, alla nona vittoria sul circuito della Sarthe, ha guidato nell’ultimo turno con il connazionale Simonsen nel cuore. Toyota seconda e quarta, quinta l’Audi dei campioni del mondo in carica. Strakka Racing vince da sola in LMP1 tra i privati: Rebellion harakiri, Andrea Bellicchi si rompe due costole. In LMP2 doppietta Morgan (Oak Racing) con motore Nissan. Tra le GT, doppietta Porsche ufficiale. Aston Martin: edizione terribile, conclusa con grande dignità. Ferrari, gara da dimenticare in GTE Pro
Tom Kristensen, Allan McNish e Loïc Duval, sull’Audi R18 e-Tron Quattro hanno vinto la Ottantunesima 24 Ore di Le Mans. Al secondo posto la Toyota TS030 Hybrid di Antony Davidson, Sébastien Buemi e Stéphane Sarrazin. Terzi Marc Gené, Lucas di Grassi e Oliver Jarvis sulla Audi R18 e-Tron Quattro numero 3.
Il danese Kristensen, il pilota che ha più vinto sul circuito della Sarthe, arriva a quota “nove” successi (1997, 2000, 2001, 2002, 2003, 2004, 2005, 2008, 2013), mentre per lo scozzese McNish è il terzo (1998, 2008, 2013). Il transalpino Duval invece è alla prima vittoria in casa, una gioia terribile, come l’avrebbe definita Enzo Ferrari in uno dei suoi memorabili aforismi da corsa.
La dodicesima vittoria dell’Audi a Le Mans (2000, 2001, 2002, 2004, 2005, 2006, 2007, 2008, 2010, 2011, 2012, 2013) è stata infatti segnata fin dall’inizio dall’incidente mortale occorso ad Allan Simonsen, al terzo giro di gara, dopo appena nove minuti dal via. Il pilota danese, 34 anni, non è sopravvissuto all’impatto contro le barriere esterne della curva Tetre Rouge, all’inizio del lungo rettilineo delle Hunaudières. Non accadeva dal 1996 che un pilota morisse in gara. L’ultimo era stato Jo Gartner, ucciso sul colpo in un incidente mentre era alla guida di una Porsche 962 del team Kremer, causato dalla rottura del cambio sullo stesso rettilineo che finisce alla curva “Mulsanne” (ancora non interrotto da due chicane).
Una corsa marchiata, anche nelle telecronache, dalla tristezza di una morte possibile sempre nel motorsport, così come in tanti altri sport pericolosi (il giorno prima della “strage” di alpinisti sullo Stelvio), ma sempre meno presente per fortuna sulle piste. Un fatto di cui si perde sempre più memoria, salvo saltare fuori in forma di polemiche – spesso con disprezzo della verità e del senso della realtà – da cosiddetti competenti della materia. Ma questa è un’altra storia.
Già ieri, dalla Toyota era arrivata una dichiarazione ufficiale di Yoshiaki Kinoshita, presidente del team: «è una notizia estremamente triste e inviamo nel nostre sincere condoglianze alla famiglia, agli amici, ai colleghi di Allan Simonsen. I nostri pensieri sono rivolti a loro in questo momento terribile».
In Audi, invece, si erano trincerati dietro una maschera di serietà, senza scompostezze, ma anche senza una parola sull’argomento. La pressione – non solo agonistica – era troppo forte e per sette ore e 100 giri la R18 numero uno dei campioni del mondo in carica, André Lotterer, Marcel Fässler e Benoît Tréluyer aveva dominato, davanti alla R18 di Kristensen, McNish e Duval. Equilibri psicologici da tenere insieme con la freddezza dei professionisti. Poi la gara era andata in un altro senso. La R18 n. 1 bloccata ai box per oltre 40 minuti, da un problema all’alternatore, costretta a risalire dal 16° posto. La R18 n. 3 di Gené, di Grassi e Jarvis costretta prima a un giro su tre ruote per un dechappamento alla ruota posteriore destra al ponte Dunlop, poi ai box per problemi elettrici di illuminazione dei fantascientifici fari a led dell’Audi.
Il via libera alla numero 2, consegnava la responsabilità di difendere il “regno dell’Audi” (usato anche come claim pubblicitario dalla casa di Ingolstadt) a Le Mans a Kristensen, all’uomo della notte McNish e al giovane moschettiere Duval. Tanto più che – al contrario di quanto avrebbe detto la logica – la Toyota Hybrid sul bagnato risultava essere più efficace dell’Audi R18 a quattro ruote motrici “on demand”, visto che i motori elettrici agiscono sull’avantreno, consentendo ai due prototipi della casa delle Tre Ellissi di stare con il fiato sul collo ai Quattro Anelli tedeschi.
Quel silenzio però era tensione morale, dignità professionale, omaggio non verbale a un collega, un giovane pilota, un giovanissimo padre di un bimbo piccolissimo per avere percezione dell’amore di un genitore e che crescerà non conoscendolo. Un turbinio di sentimenti che si è sciolto come neve al sole sul podio.
Al di là di alcuni sorrisi di circostanza – professionali, diremmo – la tristezza era lo sfondo naturale a una corsa che è continuata solo perché per la stragrande maggioranza delle persone presenti a Le Mans quello era un posto di lavoro come un altro, condito dalla passione infinita per il motorsport: ché senza passione non si giustificherebbe tutto quell’ambaradan.
È stato un emozionato Jacky Ickx a delineare il recinto della passione, la dimensione dei sentimenti in gioco, abbracciando con forza – e per momenti sembrati infiniti – Tom Kristensen prima di salire sul podio. Quella carezza con cui Kristensen ha ringraziato il grande Ickx per le parole dettegli quasi sussurrando. Quei sorrisi elevati a barriera di lacrime che rischiavano di diventare torrenziali.
Jacky Ickx, David Richards e Pierre Fillon sul podio di Le Mans: tributo ad Allan Simonsen
Sul podio, è toccato a un affettuoso Jacky Ickx – con accanto David Richards stretto in una maschera da tragedia greca e Pierre Fillon, presidente dell’Automobil Club de l’Ouest, organizzatore della 24 Ore – dire quel che nessuno avrebbe sperato mai di dover risentire. «Prima di procedere alla premiazione, con Pierre Fillon, presidente dell’ACO, e David Richards, proprietario del team Aston Martin, vorrei che voi pensaste a Allan Simonsen, dalla Danimarca, che ci ha lasciati ieri all’inizio della corsa – ha detto il campione belga – Noi dobbiamo ricordarci che l’automobilismo è uno sport pericoloso. Allan Simonsen lo affrontava con passione. Vorrei pensare in questo istante alla sua mamma, a suo padre, ai suoi fratelli, ai suoi nipoti, ai suoi amici, e a quanti sono qui oggi e in Danimarca. Vi domando – si è rivolto al pubblico che aveva invaso la pista fin sotto al podio, ma in un silenzio fino a quel momento irreale – una formidabile ovazione». E il pubblico si è lanciato in un lungo applauso, condito da molte bandiere danesi, probabilmente destinate a tributare un successo, non un prematuro decesso.
Ma quel silenzio, quel pudore dignitoso, quella professionalità rispettosa di investimenti, si sono tramutati in altrettanto affettuoso calore. «Per me La Mans è stata coperta da emozioni personali, questa volta – ha detto Kristensen sul podio, con una visibile commozione trattenuta a fatica – Sono orgoglioso di guidare per il miglior team del mondo, sia per tutti i compagni di squadra, per tutti gli impiegati a Ingolstadt e a Neckasulm, e per il team Joest. Loro rendono possibile per noi la realizzazione di un sogno. Ora questo sogno si è avverato di nuovo, vincendo la gara più dura e veloce sotto la direzione del dottor Wolfgang Ullrich. Sfortunatamente – ha sottolineato il pilota danese – ieri abbiamo perso qualcuno che aveva lo stesso sogno. Era una bella e semplice persona. Per questo sto vivendo alti e bassi questa volta». Poi, Kristensen ha concluso il suo intervento rivelando qualcosa nota a pochi: «Per quanto riguarda la mia nona vittoria, sto guidando con la determinazione e l’ambizione che mio padre mi ha insegnato. Lui è morto a marzo. Prima della sua morte, mi disse che avrei vinto Le Mans quest’anno con i miei compagni di squadra. Spero che un giorno sia capace di festeggiare un’altra vittoria con Loïc e Allan, che io possa dedicare a mio padre. Perché questa vittoria a Le Mans – ha pronunciato con grande commozione Kristensen – è dedicata a Allan Simonsen».
Non meno accorate le parole del grande capo di Audi Motorsport. «È stata la più difficile gara che ho vissuto in 15 anni di Le Mans – ha detto Wolfang Ullrich – una delle ragioni, senza dubbio, è stato aver visto un giovane pilota danese perdere la propria vita questo weekend. Comprendiamo la sua famiglia» ha affermato un commosso Ullrich come mai alcuno l’aveva visto.
Tornando alla gara, il meteo ha giocato un ruolo centrale in tutta la corsa, fin dalla dinamica dell’incidente di Simonsen. Le piogge alternanti si sono succedute dall’inizio alla fine, tanto che nelle ultime due ore il meteo stava pregiudicando il risultato di molte squadre.
Bravi alla Strakka Racing, con la HPD motorizzata Honda, che Nick Leventis, , Danny Watts e Jonny Kane hanno portato al 6° posto assoluto e alla vittoria della classifica LMP1 riservata ai “team privati”, dietro l’Audi R18 di Lotterer, Tréluyer e Fässler e davanti alla staccatissima Rebellion-Toyota di Nicolas Prost, Neel Jani e Nick Heidfeld (al 40° posto assoluto), che però mantengono il comando della classifica iridata grazie a questi punti presi per il rotto della cuffia. L’altra coupé marchiata Lotus, quella di Andrea Belicchi, Matthias Beche e Cong Fu Cheng, è stata spedita sul guardrail da Belicchi a quasi due ore dalla fine, costringendo i meccanici del team a un’epica ricostruzione record in un’ora e quaranta. Belicchi invece ha rimediato la frattura di due costole.
Nella classe cadetta dei prototipi (LMP2), doppietta della Morgan messa in pista dalla Oak Racing, alla fine di una battaglia tra le due spider. Vittoria di classe per la n. 35, guidata da Bertrand Baguette, Martin Plowman e Ricardo Gonzalez, che hanno preceduto i compagni di squadra sulla n. 24 Olivier Pla, Alex Brundle e David Heinemeier Hansson. Il team Oak ora è in testa alla classifica del Trofeo Endurance riservato ai team LMP2. Al terzo posto di classe si è classificata infine la Oreca-Nissan n. 26 del G. Drive Racing, guidata da Roman Rusinov, Mike Conway e John Martin.
Nella classe GTE Pro, doppietta del team Manthey, designato da Weissach team ufficiale Porsche, che festeggia nel miglior modo i 50 anni della 911. Decisivo si è rivelato un azzardo sul finale di gara, quando a fronte della pioggia copiosa caduta, Richard Liez decideva di restare in pista con le slick, mentre tutti gli altri rientravano ai box per mettere le rain. Cessata la pioggia, la Porsche 911 RSR n. 92 che il pilota austriaco ha diviso con Marc Lieb e con Romain Dumas si trovava con un giro di vantaggio, che la squadra ha potuto utilizzare non appena normalizzatasi la situazione meteo. Secondo posto per la vettura gemella di Bergmeister, Pilet e Bernhard. Solo terza l’Aston Martin di Dumbreck-Mucke-Turner, grazie al gesto della famiglia Simonsen, che ha chiesto espressamente a David Richard di continuare. L’altra Vantage, condotta da Rob Bell, Frédéric Makowiecki e Bruno Senna, è stata mandata sul guard rail posto sul rettilineo Hunaudières dopo la prima chicane, in un incidente che ha molte analogie con quello costato la vita al pilota tedesco. Qualcuno ha osservato che forse – alla luce dei risultati – l’Aston Martin avrebbe fatto meglio a ritirarsi in segno di lutto.
Nella GTE Pro erano attese le due Ferrari 458 Italia di AF Corse, condotte da Olivier Beretta, Kamui Kobayashi e Toni Vilander, ma vari guai le hanno relegate a ruolo interlocutorio, al 5 e 6° posto finale di classe.
Prossimo appuntamento del WEC 2013 il 20 settembre, per la 6 Ore di San Paolo del Brasile.
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