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Integrazione mal intesa in Belgio: poliziotti islamisti non accettano ordini da superiori donne

Sta fallendo miseramente il tentativo di integrare immigrati nelle forze di polizia, senza chiedere una contestuale piena adesione ai valori di libertà propri dell’Europa e dell’Occidente. La sinistra belga sotto l’occhio del ciclone delle critiche di chi mantiene un barlume di lucidità

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Brussels – La sinistra è ovunque portatrice di un messaggio di apertura delle frontiere e di integrazione degli immigrati nel proprio Paese, ma altrettanto ovunque non chiede “in cambio” alcun obolo di adesione ai valori di libertà propri dell’Occidente. Non che i Paesi occidentali siano società perfette, ma i principi e i valori – eretti grazie al sacrificio e al sangue di milioni di persone cadute nella lotta per la Libertà – sono incastonati perfino nelle Costituzioni.

Chi conosce la capitale belga – e dell’Unione Europea: non dimentichiamolo – sa che certi quartieri non sono più europei, occidentali, ma appartengono di fatto a ordinamenti stranieri. Vige la sharia – la legge islamica – nella quiescenza complice delle autorità locali.

Questo è un fenomeno nato negli anni 80 e 90 dello scorso secolo, di cui siamo testimoni. Il comune di St. Gilles era in prevalenza abitato da cittadini di origine italiana e francese. Nel corso degli anni, gli immigrati dai paesi islamici hanno con gradualità acquisito una prevalenza soffocante che ha spinto molti a vendere e a trasferirsi, spesso a tornare nei Paesi di origine.

In Belgio è stata condotta negli ultimi anni una politica di sconsiderata apertura a favore dell’arruolamento nelle forze di polizia, sia come mezzo di integrazione, sia come incremento della capacità di agire in zone ad alta concentrazione islamica, dove le forze dell’ordine ordinarie non sono accettate ed entrano il meno possibile. A fronte di questo tentativo, è sorto il problema opposto: gli islamisti hanno penetrato le forze di polizia.

Ha fatto scalpore che quattro agenti, tra cui anche un ufficiale, in servizio a nella polizia di Brussels rifiutino ogni rapporto con le donne. Secondo i quotidiani fiamminghi questo l’atteggiamento misogino avrebbe natura religiosa e si sarebbe verificato sia sul posto di lavoro, che in servizio di istituto. I quattro infatti rifiutano di ricevere ordini da colleghe con grado superiore e, addirittura, di parlare semplicemente con altre colleghe di pari grado e con le impiegate civili degli uffici.

Le critiche piovute addosso da parte della stampa delle Fiandre belghe ha spinto la polizia ad aprire una indagine interna, che però non fa ben sperare, considerato uno dei passaggi di un comunicato stampa diramato nei giorni scorso: “La cultura della polizia è sempre stata orientata a sviluppare una politica di convivialità e di neutralità. La diversità è sempre stata un fondamento della nostra organizzazione”.

Evidentemente, la politically correctness in Belgio fa sragionare perfino la polizia. E con altrettanta evidenza, nessuno – a livello politico e parlamentare – riflette a sufficienza che questa politica “dello struzzo” prima o poi produrrà una reazione popolare, con una perdita di fiducia nelle istituzioni – comprese le forze dell’ordine – e gesti estremi. Basti pensare a cosa potrebbe accadere se una donna, aggredita da un uomo, non fosse soccorsa da un poliziotto che si rifiutasse di proteggerla solo perché donna.

Vogliamo davvero questo in Europa e negli Stati dell’Unione Europea?

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