Frabo, la prova provata che in Germania sanno fare i furbi e credono di potere far fessi tutti

La lunghezza dei processi, soprattutto nel settore civile, è spesso indicato come uno dei motivi che tengono lontani gli investitori internazionali in Italia. Ma dopo la brutta vicenda del Tribunale di Dusseldorf, va rimodulato il giudizio sulla precisione teutonica, che fa una pessima figura

20130714-Corte_Giustizia_torri_480x640La lunghezza dei processi, soprattutto nel settore civile, è spesso indicato come uno dei motivi che tengono lontani gli investitori internazionali in Italia. Ma dopo la brutta vicenda del Tribunale di Dusseldorf, va rimodulato il giudizio sulla precisione teutonica, che fa una pessima figura

La Germania di Angela Merkel detta le condizioni, gli altri eseguono quasi senza fiatare. Qualcuno attende le elezioni tedesche per capire se il successo ammorbidirà il cuore della cancelliera di Berlino, ma sarà attesa vana: non ci sarà alcun arretramento dalla protervia di voler guidare l’Europa su un binario complanare agli interessi della Germania. Brutta storia.

Lo dimostra la vicenda di un’azienda italiana – la Frabo di Quinzano d’Oglio, in provincia di Brescia, produttrice di raccorderia metallica di gran pregio, che non riesce a sfondare il muro di acciaio eretto dalle autorità tedesche, per poter vendere i propri prodotti sul mercato interno: perché, vogliamo ricordarlo, la Germania per gli italiani è mercato interno. Come tra Verona e Campobasso, uguale uguale. Ma in realtà non è così.

La vicenda. La Frabo nel 1999 chiedeva e otteneva la certificazione della Dvgw (Deutscher Verein des Gas- und Wasserfaches e.V), ente privato di certificazione specializzato nell’acqua e nel gas, che – dopo una articolata gestione preliminare – procedeva a emanare la certificazione per una durata di cinque anni. Decorsi questi cinque anni, la Dvgw – su istanza di concorrenti tedeschi del settore – richiedeva una verifica della qualità dei raccordi della Frabo, che però non arrivava a buon fine, perché l’organismo italiano a cui era stato demandato tale accertamento non risultava tra quelli accreditati dall’ente tedesco.

Ne nasceva un procedimento giudiziario promosso dall’azienda italiana di fronte al tribunale regionale di Colonia, ma la Dvgw contestava il fatto di doversi attenere alle regole sulla libera circolazione dei prodotti in vigore nell’Unione Europea. Ne seguiva un ricorso alla Corte di Giustizia, che – acclarate le circostanze in punta di diritto europeo e in punta di fatto – confermava l’obbligatorietà per tutti delle norme sulla libera circolazione delle persone, delle merci e dei capitali. Amen.

Neanche per niente, perché l’ostinazione dell’ente di certificazione tedesco continuava imperterrita, malgrado due procedure di infrazione e la sentenza della Corte di Giustizia dell’UE, con il risultato di escludere dal mercato tedesco l’azienda bresciana.

A oltre un anno dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione, i magistrati di Düsseldorf – aditi in seconda istanza – hanno deciso di rifare il dibattimento del processo, che però avevano dichiarato concluso il 19 dicembre 2012, fissando la sentenza per il 17 aprile 2013.

Il 17 aprile però i giudici decidevano di rinviare al 15 maggio; il 15 cambiavano idea: non ci sarebbe stata la sentenza, ma riapertura del dibattimento, con la prima udienza fissata per il 19 giugno. Anche il 19 giugno però non accadeva nulla, perché i giudici sostengono che la controparte Dvgw aveva chiesto uno slittamento.

Il dibattimento, tra tira e molla di rinvii – dovrebbe ripartire il 17 luglio prossimo. Infruttuoso perfino un tentativo in extremis di adire l’ente di accreditamento teutonico Dakks, che vigila sul funzionamento dei vari enti di certificazione: un certificatore dei certificatori, diremmo. Tempo di risposta previsto, circa trenta giorni. Che però si trasformano in sette mesi per dire alla Frabo che si erano dimenticati di rispondere e comunque di non poter prendere decisioni fino al pronunciamento del Tribunale di Düsseldorf.

La vicenda ha provocato due esposti della Frabo alla Commissione europea a Bruxelles, nonché atti parlamentari con cui si chiede alla Commissione su quale norma si poggi la pretesa della Germania di violare i trattati e le norme come sembra più adatto ai propri interessi.

Una storia che sembrerebbe italianissima, ma è del tutto coerente con lo spirito tedesco del tempo, promosso da Sua Maestà Angela Merkel, cresciuta nella Germania dell’Est, con una giovinezza assai favorevole all’idea di monopolizzare l’Europa.

Di fatto, alla Germania è consentito di violare le norme europee sulla libera circolazione delle merci di un settore in cui i tedeschi sono attori anche in Italia, ma non il contrario. A tutto discapito del bilancio della Frabo, che finora ha dovuto sobbarcarsi oltre un milione di euro solo in spese legali.

Insomma, ulteriore dimostrazione che il processo di integrazione europea può essere benefico per tutti, ma a patto che tutti rispettino le regole e che nessuno faccia il furbo, rifuggendo la libera circolazione e la competizione commerciale con espedienti da circo equestre. Vero signora Merkel?

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