Siria, il rebus di Barak Obama. Solo Russia e USA possono fermare il massacro in Siria

La “parlamentarizzazione” di Obama è un precedente pericoloso e contrario alla Costituzione. Alla base del rinvio dell’attacco informazioni di intelligence non concordanti o scontro interno tra filo-petromonarchie e filo-russi? Il 44° presidente USA si confronta con la storia, non con la cronaca. Con Putin può fermare l’allargamento della guerra di conquista salafita. Il dissenso dei militari americani: mai alleati con Al Qaeda!

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La dichiarazione di sabato scorso del presidente Obama ha lasciato di stucco molti osservatori internazionali, perché ci si aspettava la notizia: attacco alla Siria, o meglio, al regime di Bashar al Assad. Invece, con una mossa doppia, il 44° presidente degli Stati Uniti ha dato un colpo al cerchio siriano e uno alla botte parlamentare, di fatto applicando in senso restrittivo la risoluzione adottata nel 1973, durante la guerra del Vietnam – la “War Power Resolution” – secondo cui il presidente può muovere le truppe in situazione di emergenza notificando al Congresso la sua decisione, non chiedendo alcuna autorizzazione. Tuttavia, il presidente può dispiegare le truppe per un massimo di 60 giorni (più altri 30 per il ritiro), altrimenti ha bisogno dell’avallo del Congresso per continuare le operazioni militari (sotto forma di stanziamento delle risorse federali, controllare dal parlamento degli Stati Uniti).

La mossa di Obama dunque “parlamentarizza” una crisi minore, regionale. Si tratta di capire i motivi che hanno spinto ad avocare l’approvazione del Congresso, posto che non convince la motivazione democratica: per muovere i droni – e assassinare i sospetti terroristi, senza processo (con violazione dell’habeas corpus anche per i cittadini americani) – non ci sembra siano stati investiti i rappresentanti del popolo americano.

Lanciamo due ipotesi. La prima: le informazioni ricevute dall’intelligence non sono così univoche rispetto alla responsabilità delle truppe regolari siriane sull’uso di armi chimiche alla periferia di Damasco del 21 agosto scorso. La seconda: all’interno dell’Amministrazione Obama è in corso uno scontro tra i filo-petromonarchie e i sostenitori del mantenimento di un rapporto saldo con la Russia, malgrado la vicenda che coinvolge Edward Snowden, l’ex analista dell’NSA che ha divulgato molti segreti di intelligence e che si è rifugiato a Mosca.

20130902-not-joining-navy-for-alqaeda-400x405Nel primo scenario, il dibattito e il voto chiesto al Congresso serve a Barak Obama per prendere tempo. Da molte parti – anche alleate – sono stati sollevati dubbi, perplessità, obiezioni alle evidenze oggettive sul fatto che sia stato l’esercito regolare a lanciare un attacco chimico sulla zona di Ghouta. Su internet – e perfino da giornalisti accreditati e responsabili – si moltiplicano le segnalazioni della capacità dei cosiddetti ribelli di costruire in modo artigianale armi chimiche, compreso la composizione del cosiddetto Sarin (RS)-2-(fluoro-metil-fosforil)ossipropano). Nelle fila degli insorti – la brigata internazionale che vuole detronizzare Assad per conto delle petromonarchie del Golfo, in primis la wahabita Arabia Saudita e l’attivissimo Qatar – è acclarata la presenza di molti chimici. Lo “Speciale TG1” di domenica 1° Settembre 2013 ha mostrato il video della preparazione del Sarin da parte di uno di questi miliziani.

Nel secondo scenario, l’allungamento della decisione serve per coinvolgere il Congresso nella vittoria di una delle fazioni. Quella filo-araba potrebbe perfino scontrarsi con l’insubordinazione dei militari. Circolano foto sul social media di militari – anche con molte onorificenze al petto – il cui filo comune è: “non siamo militari degli Stati Uniti per essere alleati di Al Qaeda nella guerra civile siriana”. A favore di una preponderanza dei filo-russi (per semplicità) il fatto che l’asse Washington-Mosca può garantire la soluzione di molti problemi del mondo, lo scontro può portare alla loro esacerbazione e alla deflagrazione di un conflitto su più ampia scala. A favore di questa evoluzione sarebbe anche il presidente Putin, cosciente della minaccia jihadista prima di altri, ma anche del fatto che la Russia da sola non può affrontare una questione che è globale.

Se Putin avesse voluto mettersi contro gli Stati Uniti, avrebbe dato piena accoglienza e asilo a Edward Snowden, cercando di schierarsi ufficialmente contro gli americani. Invece, il permesso temporaneo – che serviva anche a scaricare Mosca dell’attenzione mediatica internazionale – è stato accompagnato dai messaggi espliciti a favore di un mantenimento della special relationship russo-americana. Il 17 luglio scorso, il presidente russo sull’ex analista dell’NSA è stato chiaro: «Abbiamo avvisato Snowden che consideriamo inaccettabile qualsiasi sua attività che possa danneggiare le relazioni russo-americane», per poi sottolineare che «Le relazioni bilaterali, a mia opinione, sono di gran lunga più importanti di beghe sull’attività dei servizi segreti».

L’annullamento degli incontri bilaterali, le polemiche sulla legge contro le diversità di genere in Russia, le polemiche sulle posizioni non ufficiali in Siria sono espedienti. Barak Obama andrà a Mosca per il G20, dal 5 al 6 settembre. La Siria non è ufficialmente all’ordine del giorno, ma l’evoluzione della guerra civile costringerà Stati Uniti e Russia ad affrontare il ginepraio siriano, per evitare l’estensione del conflitto: che non conviene a nessuno.

Nel frattempo, le analisi dei campioni raccolti dagli osservatori delle Nazioni Unite proseguiranno, con l’obiettivo di chiarire l’origine dei composti chimici raccolti a Ghouta. Analisi che non diranno chi li ha usati, ma sicuramente chiariranno come sono stati usati. E dal mezzo si potrà capire molto.

Mettersi a parteggiare per l’espansionismo saudita significa infatti prendere le difese di Al Qaeda e dei salafiti, ma anche contrastare apertamente sul piano militare l’Iran di Rohani, che non è una colomba, ma potremmo definire un messaggio di distensione inviato dagli ayatollah al potere. E significherebbe incendiare anche il Libano, dove le milizie di Hizballah dello sceicco Hasan Nasr Allah non aspettano altro per regolare i conti e attaccare Israele, che non potrebbe non difendersi.

Solo Russia e Stati Uniti possono risolvere questo affaire internazionale che rischia di fare esplodere un conflitto su larga scala, di fronte al quale l’Italia sarebbe come il vaso di coccio in mezzo ai vasi di ferro. Nei prossimi giorni vedremo se Barak Obama è il più inetto presidente degli Stati Uniti o un fine intellettuale che ha compreso la gravità della situazione

Tuttavia, siamo convinti che in Siria finora si è sbagliato tutto. E non lo affermano solo i siriani, lo dicono le migliaia di giovani egiziani che hanno indirizzato all’amministrazione Obama e all’ambasciatrice statunitense al Cairo ogni forma di protesta civile e incivile, con un tema comune: gli Stati Uniti appoggiano i Fratelli Musulmani, ossia gli ispiratori teorici di Al Qaeda. Le vittime delle Torri Gemelle si rivoltano nelle tombe.

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