Cybercondria, la malattia immaginaria nell’era del 2.0
Sono chiamati cybercondriaci e sono dei malati “immaginari” che passano ore ed ore davanti al pc alla ricerca delle patologie più vicine ai loro sintomi. Secondo lo studioso Thomas Fergus, però, le informazioni presenti su Internet possono “generare uno stato di ansia e di terrore spesso non giustificato e addirittura maggiore rispetto a quello che deriverebbe dalla lettura di un manuale scientifico o dalle risposte ottenute direttamente dal medico”
Ipocondria e web, due parole che nell’era del 2.0 sembrano andare sempre più di pari passo. E se, si sa, su Internet è possibile trovare di tutto, non mancano informazioni su sintomi che la rete accosterebbe a determinate malattie. A farne le spese sono i cosiddetti cybercondriaci, termine coniato nel 2000 per indicare quel folto gruppo di utenti che navigano soprattutto alla ricerca di informazioni sul loro “preoccupante” stato di salute.
Solo negli Stati Uniti i cybercondriaci sarebbero almeno otto persone su dieci, mentre in Italia, secondo le ricerca del Censis relative all’ottobre 2012, sarebbero il 32,4 per cento della popolazione. Un fenomeno apparentemente non troppo grave ma che in realtà nasconde diversi lati oscuri, soprattutto dal momento che i malati in questione sono soprattutto “immaginari”.
Il professor Thomas Fergus, assistente alla cattedra di psicologia e neuroscienze del College of Arts & Sciences della Baylor University di Waco sostiene infatti che chi non ama rimanere nell’incertezza sulle proprie condizioni fisiche e mentali, se affetto da cybercondria, rischia di far aumentare il proprio stato di ansia che lo spingerebbe poi a fare continue ricerche online e a monitorando costantemente il proprio corpo per scoprire ogni nuovo sintomo. “Per fare un esempio – continua il medico – se avessi un bernoccolo in testa e mi capitasse di navigare su un sito di lesioni cerebrali da trauma, potrei arrivare a convincermi che la causa sia quella”.
Nessuna diagnosi rapida e indolore dunque. Secondo Fergus, infatti, le informazioni disponibili a portata di click, spesso discutibili, possono “generare uno stato di ansia e di terrore spesso non giustificato e addirittura maggiore rispetto a quello che deriverebbe dalla lettura di un manuale scientifico o dalle risposte ottenute direttamente dal medico”.
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