Egitto, aggiornato il processo a Mohamed Morsi. Padre Greiche: “è un segno di cambiamento per il Paese”
Avviato e subito aggiornato il processo all’ex presidente egiziano, deposto da un colpo di Stato Costituzionale guidato dalle migliori intelligenze del Paese e sotto l’onda delle proteste dei giovani democratici, anche musulmani, contrari all’islamizzazione dell’Egitto. La valutazione di padre Rafic Greiche, portavoce della Chiesa cattolica egiziana, e di Mina Thabet, presidente della Maspero Youth Union, che parla di “doppia Primavera araba egiziana”
Il Cairo – È stato aggiornato all’8 gennaio prossimo il processo contro Mohamed Morsi, il presidente egiziano deposto lo scorso 3 luglio da un Colpo di Stato Costituzionale intrapreso dall’Esercito egiziano al termine di un periodo di grande agitazione sociale e popolare, durante il quale il movimento Tamarod-The Rebels ha raccolto ben 25 milioni di firme a supporto della richiesta di dimissioni. Dimissioni chieste per evitare al Paese un bagno di sangue e per denunciare al mondo la politica di islamizzazione violenta adottata da Morsi, esponente di primo piano del movimento islamista dei Fratelli Musulmani.
Ieri l’avvio del processo all’Accademia Militare alle porte del Cairo, dove è stata allestita un’aula ad hoc, in una cornice di straordinarie misure di sicurezza. La prima udienza – che vede Morsi alla sbarra con altri 14 dirigenti dei Fratelli Musulmani – ha offerto al deposto presidente egiziano una ribalta d’eccezione per denunciare il golpe che lo ha rimosso nel luglio scorso. Una ribalta che il 61enne non si è lasciato sfuggire, denunciando quello che ha definito un “processo farsa” e proclamandosi ancora “presidente in carica“.
Apparso in forma e in buona salute – segno inequivocabile della civiltà straordinaria della detenzione – alla sua prima apparizione pubblica dopo quattro mesi di carcerazione in una località segreta, Morsi ha contestato la legittimità del processo e chiesto che al suo posto vengano processati i ‘golpisti‘. In aula erano state vietate telecamere e le attrezzature per la registrazione, ma qualche immagine è filtrata. Vestito con una tuta da ginnastica, Morsi ha inizialmente rifiutato di togliersi la giacca per indossare l’uniforme degli imputati, obbligando il giudice, Ahmed Sabry Youssef a interrompere la seduta una prima volta. Poi, quando la seduta è ripresa e gli è stato chiesto di dire il suo nome, il deposto presidente si è adirato e, con tono offeso ha risposto al presidente della corte: «Io sono il dottor Mohamed Morsi, il presidente della Repubblica. Questo tribunale è illegittimo».
Se si considerano tutti gli accadimenti da giugno a oggi, non ci si poteva aspettare altro: i Fratelli Musulmani hanno contestato la legittimità della deposizione di Morsi, denunziando il “golpe” e tirando per la giacchetta anche parte dell’opinione pubblica occidentale, abituata a considerare le intrusioni delle Forze Armate in politica un fatto da condannare in sé, senza contestualizzare le situazioni. L’alternativa all’intervento dell’Esercito sarebbe stata la guerra civile tra chi – musulmani, cristiani o laici egiziani – si opponeva alla deriva islamista imposta dalla Fratellanza, condotta con assassinii, minacce, violenze di ogni tipo.
«È stato un colpo di Stato militare» ha detto Morsi, aggiungendo che i «leader di questo golpe devono essere processati. Il golpe è un tradimento e un crimine». Mentre l’ex presidente parlava, due dei suoi coimputati – Essam el-Erian, vicepresidente del partito Libertà e Giustizia, braccio politico della Fratellanza Musulmana, e Mohammed al-Beltagi, membro del suo esecutivo – applaudivano e urlavano “Abbasso il governo militare“.
Accompagnato in elicottero, Morsi è stato portato via in elicottero nella prigione cairota di Tora, secondo alcune fonti; in quella di Burq al Arab, ad Alessandria, secondo altri. Intanto all’esterno centinaia di militanti islamisti brandivano manifesti con il volto del deposto presidente e scandivano slogan contro i militari. A migliaia hanno protestato anche davanti alla Corte Costituzionale.
In “stato di assedio” la capitale, con 20mila tra agenti e militari schierati. Le autorità avevano avvertito di essere pronti a far fronte a qualsiasi tensione.
Tra i commenti più interessanti su questa importante fase della storia egiziana contemporanea, quelle di padre Rafic Greiche, portavoce della Chiesa cattolica egiziana, e Mina Thabet, presidente della Maspero Youth Union, raccolte da AsiaNews. Padre Greiche e Thabet pensano che il processo a Morsi e ai 14 membri della Fratellanza sia «piccolo passo avanti per il Paese» che ha visto succedersi due rivoluzioni popolari succedersi in meno di tre anni, con milioni di persone che hanno spinto il cambiamento.
Greiche sostiene che «il processo contro Mohamed Morsi è un segno di cambiamento per l’Egitto» perché la «popolazione desidera chiudere i conti con il recente passato islamista e voltare pagina in modo definitivo non con la violenza, ma attraverso la giustizia». Per il portavoce della Chisa cattolica egiziana, le manifestazioni degli islamisti, scesi in piazza per sostenere i loro leader circondando la Corte Suprema e organizzando manifestazioni in tutto il Paese, sono state fermate non tanto dalle forze dell’ordine, ma da centinaia di egiziani stanchi del clima di tensione e odio che da tre anni ha colpito il Paese.
Mina Thabet, giovane cristiano e presidente della Maspero Youth Union, ritiene che gli islamisti stiano usando ogni mezzo per difendere i loro leader, comprese menzogne ai media, minacce e violenze contro le minoranze, ma questo atteggiamento «ha fatto crollare ancora di più la credibilità dei Fratelli Musulmani»
Con il movimento Tamarod (The Rebels), la Maspero Youth Union è una delle organizzazioni che lo scorso 30 giugno hanno portato in piazza 30 milioni di persone per chiedere le dimissioni di Morsi, accusato di voler trasformare il Paese in una dittatura islamica. «Gli islamisti – afferma Thabet – stanno rispondendo delle loro azioni davanti a un tribunale. Tutto il Paese è testimone delle loro violenze». «Opponendosi alla giustizia» aggiunge «gli islamisti continuano a negare l’evidenza dei fatti. In un Paese civile tutti possono essere giudicati davanti a un tribunale».
«Dal 2011 – approfondisce il discorso Thabet – ben due presidenti sono finiti in carcere grazie alle proteste della popolazione. Questo è un fatto storico per l’Egitto e per tutto il Medio Oriente» perché una «nuova generazione composta da cristiani e musulmani è nata per le strade, che non accetta alcuna negoziazione rispetto ai diritti umani, che non vuole piegarsi a strategia politiche ma tenta di costruire un nuovo Paese» spiega. Il presidente della Maspero Youth Union pensa che la vera sfida del rinnovamento sarà la Costituzione, su cui si dovranno concentrare in futuro politici e giovani dei movimenti rivoluzionari.
Nel giorno di avvio del processo a Morsi e agli altri leader dei Fratelli Musulmani, temendo atti di violenza e scontri fra polizia e islamisti, molte scuole pubbliche e private del Cairo sono rimaste chiuse. Nel distretto di Minya (Alto Egitto), il più colpito dagli attacchi anticristiani del 14 agosto, le chiese locali hanno disposto la chiusura di tutti gli istituti scolastici per almeno due giorni. Secondo tecniche di guerra psicologica molto collaudare e orientare ad acuire il clima di tensione, i Fratelli Musulmani hanno fatto circolare indiscrezioni false sul coinvolgimento di giudici cristiani nel processo contro l’ex presidente Morsi. Ulteriore dimostrazione che la “storica decisione” di scendere in campo a fianco dei giovani democratici egiziani è stato un passo giusto per l’Esercito egiziano, un tornante storico anche per le istituzioni militari dell’Egitto. Checché ne pensi Barak Obama
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