Cina, Terzo Plenum del Partito: le riforme segrete (e forse inesistenti)

di Padre Bernardo Cervellera**

Il raduno di 250 membri del Comitato centrale dura fino al 12 novembre, nel silenzio stampa più assoluto. Vi sono alcuni importanti suggerimenti da parte di think-tank: province staccate dall’economia; riduzione dei monopoli; riforma del certificato di residenza per i migranti. Ma non è sicuro che essi saranno presi in considerazione. Rimane fermo il monopolio del potere del Partito, come ai tempi dell’impero cinese. Anche Xi Jinping è indietreggiato dopo aver promesso molte riforme

Cina, il Terzo Plenum del PCC

Pechino – I leader di Pechino hanno dato inizio oggi al Terzo Plenum del Partito comunista cinese (Pcc). L’incontro, che andrà avanti fino al 12 novembre, è a porte chiuse e nessuno conosce l’ordine del giorno, sebbene i media cinesi e internazionali parlino di riforme economiche che determineranno i prossimi 10 anni del Paese.

Il segreto caratterizza il raduno: durante i quattro giorni di incontri, non ci sarà alcun rapporto con la stampa, eccetto un comunicato finale.

Quello che si sa è che l’industria cinese è segnata dalla sovrapproduzione, con i magazzini pieni di prodotti invenduti; milioni di appartamenti costruiti e vuoti; l’export che risente della crisi economica mondiale; la corruzione e l’inquinamento che la fanno da padroni; l’enorme debito delle province con i loro progetti faraonici (strade, autostrade, industrie, aeroporti) inutilizzati e in perdita; l’inflazione che è salita al 3,1%, con i prezzi delle cibarie che hanno subito un aumento fino al 35%.

Settimane fa Yu Zhengsheng, del Comitato permanente del Politburo, ha dichiarato che il Terzo Plenum varerà riforme “senza precedenti”, ma non ha detto una parola sui loro contenuti.

Un think-tank vicino al presidente Xi Jinping ha preparato una bozza di riforme economiche che include molti elementi interessanti: il distacco delle province dall’impegno diretto nell’economia; l’uso dello yuan come moneta di scambio internazionale (per sfuggire a un possibile crollo del dollaro); la riduzione dei monopoli statali nel campo dell’energia, delle banche, delle infrastrutture e delle telecomunicazioni; la fine dell’obbligo dell’hukou (certificato di residenza) che impone ai migranti che lavorano in città di conservare la residenza nelle campagne, privandoli di sussidi per la scuola dei figli e della sanità nelle città dove sono impegnati. In più, il think-tank, guidato dall’economista Liu He, vuole dare ai contadini la possibilità di vendere i loro terreni a prezzi di mercato, a pari valori di quelli in città.

Questi suggerimenti di riforme verso migranti e contadini, più che garantire loro una maggiore giustizia, tendono a fare di loro una nuova classe di consumatori per accrescere il mercato interno, correggendo la troppa dipendenza del commercio dalle esportazioni internazionali.

La riduzione del potere economico delle province e dei monopoli statali vorrebbe facilitare gli investimenti privati e stranieri, sempre più frustrati davanti ai favoritismi di cui godono le imprese statali con prestiti bancari facilitati e benevolenza del governo. Mentre negli anni ’90 la Cina attirava il 37% degli investimenti stranieri diretti, nei 10 anni seguenti la cifra è scesa al 10,6%. Fra gennaio e settembre di quest’anno gli investimenti stranieri diretti sono cresciuti solo del 6%.

Non è per nulla sicuro che questi suggerimenti saranno abbracciati e resi operativi dalla leadership. Essi dovranno essere discussi nel Comitato centrale di 250 persone, in cui almeno il 50% dei membri ha costruito e vive la sua carriera basandosi proprio sui monopoli statali  e sui prestiti a valanga delle banche di Stato: è molto difficile che essi facciano un passo indietro in nome della libertà del mercato o della giustizia.

Soprattutto, ciò che più manca a questo Plenum è qualche suggerimento di riforme politiche. Dagli anni ’80 Deng Xiaoping, Jiang Zemin e Hu Jintao (insieme a Wen Jiabao) hanno sottolineato che le gigantesche riforme economiche varate nel Paese non possono sostenersi senza adeguate riforme politiche. Ma nessuno ha potuto (o voluto) fare nulla. Se chi determina le regole più eque, è anche chi detiene i monopoli, è impossibile sfuggire al controllo, alla corruzione, ai favoritismi.

Il monopolio del potere del Pcc non è per nulla in discussione. Nei mesi prima del Plenum, sebbene vi fosse silenzio sulle riforme, si è cercato di eliminare qualunque critica al Partito: si è difeso Mao Zedong, buttando nel dimenticatoio gli oltre 35 milioni di morti per fame del suo Balzo in avanti; si è sparato contro chiunque osasse dire che la costituzione e la legge  valgono per tutti, anche per i membri del Partito; sono stati arrestati tutti coloro che domandavano ai leader di rendere pubblica la lista delle loro ricchezze, guadagnate con la corruzione.

Xi Jinping, che all’inizio del suo mandato aveva fatto tante promesse di legalità, a poco a poco è indietreggiato per ribadire che il Partito è sopra la legge e che bisogna difendere la sua storia, giudicata a priori come positiva, sventolando il timore che chi osa criticare la sua storia sta preparando la sua caduta come è successo all’Urss.

Così, il Terzo Plenum rischia di essere l’ennesima occasione perduta per una leadership che dice di “servire il popolo” e che invece sfrutta il popolo per la sua ricchezza, concedendo ogni tanto dall’alto qualche cambiamento (economico!), come facevano gli antichi imperatori, mantenendo ben saldo nelle sue mani il potere e la polizia.

(Asia News)

**direttore di Asia News