Esce Jobs, film indipendente che celebra il mito ma dimentica l’uomo
La rivoluzione tecnologica degli ultimi trent’anni è passata attraverso il genio e il fiuto di Steve Jobs, il cui biopic non prende però alcun rischio viaggiando spedito su binari scontati
2001: Steve Jobs presenta il primo rivoluzionario iPod agli impiegati della sua azienda a Cupertino, è il culmine di un’avventura iniziata nel lontano e spensierato 1974, quando con l’amico Steve Wozniak assemblava schede madri nel garage di casa sua insieme ad altri pochi amici per mettere insieme quello che sarebbe diventato l’Apple I.
Ne sarebbe potuto uscire un capolavoro. Insomma parliamo di Steve Jobs, l’uomo più rivoluzionario (almeno sulla carta) di quest’ultima generazione, quella che ha cambiato per sempre il nostro modo di concepire la tecnologie, quindi il nostro rapporto col mondo intero. In America, poi, la fama di Jobs non era mai stata così alta e quindi appariva necessario per l’industria cinematografica di Hollywood battere il ferro finché era caldo; così a pochi anni dalla morte (avvenuta il 5 ottobre del 2011) ecco che una piccola casa di produzione (non una major quindi), la Five Star Institute, ha l’occasione di fare il colpaccio e raccontare la storia dell’uomo dietro la multinazionale più ricca del mondo.
Peccato si sia deciso di affidarsi al troppo sconosciuto Matt Whiteley e alle mani ancora inesperte alla regia di Joshua Michael Stern (che tuttavia non è protagonista di nessuno scivolone evidente); avere dalla loro Ashton Kutcher poteva essere la chiave di volta, data la sorprendente somiglianza col personaggio. La storia in sé appare frivola e priva di quei guizzi narrativi e psicologici che avevano reso grande un film (analogo nel tema) come The Social Network (lì però c’erano David Fincher e Aaron Sorkin al loro apice). In Jobs tutto procede liscio come l’olio, fin troppo, e gli episodi narrati prendono una forma che conduce inevitabilmente lo spettatore a chiedersi se quello che sta osservando non sia più un film sull’ascesa, caduta e rinascita della Apple piuttosto che del suo fondatore. Ogni qual volta s’intravedono gli sbocchi necessari a far virare la vicenda sul piano più riservato e personale di Steve Jobs ecco che si sceglie di trascurare e virare su territori più semplici, ma ahimè più banali e noiosi. Soprattutto il periodo più interessante della vita di Jobs è del tutto assente (ovvero la sua rinascita come fondatore della NeXT Computers avvenuta dopo la sua cacciata dalla Apple).
Apprezzabile comunque l’interpretazione di un cast molto ricco e stratificato, con pochi personaggi che scivolano inevitabilmente nella macchietta (su tutti Steve Wozniak) e con Ashton Kutcher che dà finalmente prova di essere un attore completo, reggendo sulle sue spalle un film non certo esaltante. Ottima anche la prova di John Debney alla colonna sonora.
Alla resa dei conti se avessimo avuto il dubbio che ci fosse stata lei dietro tutta l’operazione, Jobs si sarebbe potuto identificare come un lungo spot pubblicitario targato Apple, che se avesse osato spingere l’acceleratore sul lato più intimo del genio della comunicazione, avrebbe avuto quella potenza drammaturgica già apprezzata in The Social Network.
VOTO : 5
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