Riina su pm antimafia Di Matteo: “Gli faccio fare la fine del tonno”
Le parole del boss nel corso di un colloquio con uno dei capi della Sacra Corona Unita nel carcere milanese di Opera. E su Messina Denaro dice: “Pensa di comandare, ma fa solo affari con l’eolico”. Sindaco di Palermo: città accanto a magistrati minacciati
Palermo – Per il boss mafioso Totò Riina il pm antimafia Nino Di Matteo “deve fare la fine del tonno“. Questo è solo un passaggio delle intercettazioni ambientali captate dagli investigatori nel carcere milanese di Opera, dove Riina è detenuto in regime di 41/bis, nell’autunno scorso, in un dialogo che il boss corleonese ebbe con il “collega” pugliese della Sacra Corona Unita, Alberto Lo Russo.
I due parlarono del pm antimafia Antonino Di Matteo, pubblica accusa nel processo per la trattativa tra Stato e mafia, che vede tra gli imputati proprio Riina. “Di questo processo, questo pubblico ministero di questo processo – disse Riina, riferendosi al Pm Di Matteo – che mi sta facendo uscire pazzo, per dire, come non ti verrei ad ammazzare a te, come non te la farei venire a pescare, a prendere tonni. Ti farei diventare il primo tonno, il tonno buono. Ancora ci insisti? Minchia…. perché me lo sono tolto il vizio? Me lo toglierei il vizio? Inizierei domani mattina“.
Riina dimostra di non avere paura di Di Matteo: “Vedi, vedi – disse – si mette là davanti, mi guarda con gli occhi puntati ma a me non mi intimorisce…“. Poi evocò un progetto di attentato: “questo Di Matteo non se ne va, gli hanno rinforzato la scorta e allora, se fosse possibile, a ucciderlo… Una esecuzione come eravamo a quel tempo a Palermo con i militari“. “E allora organizziamola questa cosa! Facciamola grossa e non ne parliamo più“.
Riina si espresse anche sul fallito attentato al vicequestore Rino Germanà, nel trapanese. Il poliziotto si salvò solo perché si era gettato in mare, mentre il boss Bagarella gli sparava.
Ne ebbe anche per il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, sul quale Riina disse a Lo Russo: “non deve testimoniare al processo per la trattativa tra Stato e mafia“. Lo Russo spiegò a Riina che in televisione tanti politici stigmatizzavano la richiesta della Procura di ascoltare in aula il Presidente Napolitano. Lo Russo citò anche il vice presidente del Csm Michele Vietti e altri politici, conocordi nel ritenere inopportuna la testimonianza di Napoltano. Riina dice: “Fanno bene, fanno bene… ci danno una mazzata… ci vuole una mazzata nelle corna… a questo pubblico ministero di Palermo“. E Lo Russo ribatté: “Sono tutti con Napolitano, dice che non ci deve andare. Lui è il presidente della Repubblica e non ci deve andare“. Riina a quel punto disse: “Io penso che qualcosa si è rotto…“.
“Mi viene una rabbia – si sfogò Riina – ma perché questa popolazione non vuole ammazzare a nessun magistrato? A tutti… ammazzarli, proprio andarci armati e vedere…“. Parlando dei magistrati il boss disse: “si ingalluzziscono, proprio si ingalluzziscono… perché c’è la popolazione che li difende, che li aiuta. Quelli però che devono andare a fare la propaganda là, sono quelli che devono andare a fare la propaganda. Hanno lo scopo in testa per uno ‘strumentio’ (strumentalizzazione, ndr) completamente e le persone sono con loro…“.
Non ci sono stati soltanto i magistrati nel mirino del boss mafioso Totò Riina, ma il capomafia corloenese se la prese anche con gli agenti di scorta che chiama, con disprezzo, “paperelle” e altre volte “anatroccoli” o uccellacci. “Se io restavo sempre fuori – continuò Riina – io continuavo a fare un macello, continuavo al massimo livello“.”Minchia, eravamo tutti mafiosi… i capimafia… Totò Riina non li faceva passare…“, si espresse parlando di se in terza persona.
Riina descrisse poi, ridendo, la strage di via Pipitone Federico a Palermo, in cui morirono il giudice Rocco Chinnici con la sua scorta e il portiere dello stabile in cui abitava. “Quello là saluta e se ne saliva nei palazzi. Ma che disgraziato sei, saluti e te ne sali nei palazzi. Minchia e poi è sceso, disgraziato, il Procuratore Generale di Palermo“. Riina parlò dell’esplosione avvenuta il 29 luglio 1983, cui il boss assistette da pochi metri di distanza. Nell’esplosione Chinnici prima finì in aria e poi ricadde a terra. “Per un paio d’anni mi sono divertito. Minchia che gli ho combinato“, disse al “collega” Lo Russo, ridendo.
Parlando ancora dei magistrati: “Dobbiamo prendere un provvedimento per voialtri – dice il boss come se parlasse direttamente ai pm – uno che vi fa ballare la samba così che vi fa salire nei palazzi e vi fa scendere come vuole, come se fossero formiche“.
Nella stessa intercettazione ambientale Riina si sente lamentarsi del latitante Messina Denaro: “A me dispiace dirlo – spiega – questo signor Messina” che per gli inquirenti è Messina Denaro, “questo che fa il latitante che fa questi pali.. questi palo eolici… i pali della luce“. E Lo Russo, di rimando, gli rispose: “Pensa solo a se stesso… pazienza“. Al che Riina replicò: “No, ma per dire che questo si sente di comandare, si sente di fare luce ovunque, fa luce, fa pali per prendere soldi, per prendere soldi, ma non si interessa di…“. Insomma, secondo il boss Rina, Messina Denaro si interesserebbe solo agli affari con l’energia eolica e non dei ‘bisogni‘ dei picciotti di Cosa nostra.
Nel pensiero di Riina – cose da pazzi! – c’è stato spazio anche per una citazione di Leonardo Sciascia e dei suoi ‘professionisti dell’antimafia‘, citati in un ormai famoso articolo pubblicato il 10 gennaio del 1987. I due, parlando dei magistrati, criticarono con asprezza il loro operato. “Lui (Sciascia ndr) – disse Lo Russo parlando con Riina – gli diceva la verità, lui era uno di quelli che teneva il coraggio di parlare…“. E Riina: “Minchia, ma quello era tremendo, lui sembrava un mafioso vero, ma poi quello era una persona studiosa, una persona…“. Lorusso: “Una persona studiosa e onesta“. Riina: “Onesta, onesta“. Lorusso: “Che non si faceva intimorire dai magistrati, che non si faceva intimorire e li chiamava i professionisti dell’antimafia“. Riina allora rispose con forza: “Minchia, così sono professionisti dell’antimafia, tanto professionisti che a questi non li poteva vedere, questi li aveva come ‘l’uva da appendere’, ma sempre li attaccava, sempre dalla mattina alla sera, perché vedeva quello che facevano, ci constatava, lo constatava lui, però l’Italia è fatta così…“.
“La mia presenza qui è un atto dovuto ed anche un nuovo segnale di netto appoggio e solidarietà, anche a nome di tutti i palermitani, per quei magistrati che ogni giorno lavorano sul campo della difesa della legalità“, ha detto il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, arrivando al gazebo montato davanti il Palazzo di giustizia del capoluogo siciliano, nell’ambito dell’iniziativa “Scorta Civica” promossa da un cartello di associazioni a sostegno dei magistrati minacciati da Cosa Nostra.
“Questa è anche l’occasione – ha aggiunto Orlando – per rinnovare la richiesta di giustizia e di verità sull’ignobile trattativa Stato-mafia. Il mio apprezzamento va, naturalmente, a tutte le associazioni cha hanno dato vita a ‘scorta civica’ e a tutti quei cittadini che numerosi oggi – ha concluso il sindaco di Palermo – hanno voluto ribadire che questa è una città viva che non lascia da soli i suoi magistrati“.
Credit: Adnkronos