Ayrton Senna, 20 anni dopo. Il ‘j’accuse’ della sorella Viviane: ‘fu responsabilità di tutti’

“È stato necessario che morisse perché si prendessero le misure di sicurezza opportune”, ha affermato la sorella del campione brasiliano, che morì sul circuito “Enzo e Dino Ferrari” di Imola il 1° maggio 1994. Da giovedì a Imola quattro giorni di manifestazioni in ricordo del grande pilota brasiliano, nel ventennale della scomparsa. Non ci sarà un altro grande interprete della F1, Michael Schumacher, il corpo del quale è bloccato da quattro mesi in un letto di ospedale…

Ayrton Da Silva Senna, (San Paolo, Brasile, 21 Marzo 1960 – Bologna, Italia, 1º Maggio 1994)

San Paolo (Brasile) – Venti anni dopo il tragico incidente che è costato la vita a suo fratello, Viviane Da Silva Lalli, sorella di Ayrton Da Silva Senna, ha affermato all’agenzia DPA: “tutti sono colpevoli” della morte di Ayrton. “Tutti, tutti sono colpevoli di quella morte“, ha detto nel corso dell’intervista alla Dpa, realizzata nei suoi uffici di San Paolo, la città che ha visto nascere il tre volte campione del mondo, un mito che supera perfino Pelé, e dove svolge la sua professione di psicologa.

Ayrton Senna morì il 1° maggio 1994, schiantandosi con la sua Williams-Renault contro il muro esterno della curva “Tamburello” del circuito “Enzo e Dino Ferrari” di Imola. Aveva 34 anni. Quell’incidente tracciò una cesura nella nella storia della Formula 1, che da allora ha fatto grandi passi in materia di sicurezza. Fu quel week-end tragico, con la morte di Roland Ratzemberger il sabato e di Ayrton Da Silva Senna la domenica, a segnare in maniera indelebile la F1. Non c’è dubbio sul fatto che la notorietà del pilota brasiliano ebbe un ruolo centrale nella presa di coscienza dei pericoli che correvano i piloti in monoposto pericolosissime, domate da Cavalieri del Rischio.

Viviane Da Silva-Lalli, sorella di Ayrton e presidente della Fondazione dedicata al tre volte campione del mondo brasiliano di Formula 1E Senna – il cognome della madre Neyde da nubile, assunto come pseudonimo – se vogliamo fu l’ultimo Cavaliere del Rischio. Da allora, per fortuna, non ci sono più stati morti nella massima categoria dell’automobilismo mondiale.

Viviane Da Silva Lalli, vedova di Flávio Lalli e mamma di Bruno Senna (Bruno Lalli Da Silva, che ha assunto il cognome/pseudonimo dello zio e della nonna materna), dirige la Fondazione Ayrton Senna e ha ricordato in modo nitido le ultime drammatiche ore del fratello Ayrton.

È stato necessario che morisse Ayrton, che morisse Ratzenberger, perché si prendessero le misure che avrebbero dovute essere prese anche prima. Tutti sono colpevoli, tutti hanno avuto un ruolo. Se ci fossero state le condizioni appropriate, un elemento solo non avrebbe portato a questa conclusione“, ha aggiunto la sorella del pilota brasiliano, che 20 anni dopo ne conserva la memoria per le future generazioni.

Alla domanda, “chi era Ayrton Senna?”, Viviane ha risposto: “Più che vincere tre campionati, più che essere un vincente e un pilota riconosciuto come speciale in tutto il mondo, credo che quello che la gente ammiri di più in lui sono i valori, gli atteggiamenti che ha avuto e che sono state la ragione di quelle vittorie. Cose come avere gli artigli, la determinazione, la voglia di non desistere mai, dare il meglio, dare il 300 percento in tutto quello che si fa, cercare la perfezione, sforzarsi moltissimo“.

Da giovedì a domenica 4 maggio, Imola sarà teatro di una serie nutrita di manifestazioni in ricordo di Ayrton Senna. Ieri sera Italia 1 ha trasmesso uno speciale che ha ripercorso la vita del pilota brasiliano, con particolare attenzione alle ultime ore, caratterizzate da lugubri presagi.

Ayrton Da Silva – così cominciò a correre in Gran Bretagna, dove iniziò la sua carriera in Europa – era nato per diventare “Senna“. Non si sono mai chiarite davvero le cause della morte, né si sono potute vedere le immagini della camera car, da cui probabilmente si capirebbe meglio cosa possa essere successo.

Nel 1994 i piloti “conversavano” con il muretto box solo a gesti e dai box si rispondeva solo con i cartelli o qualche segnale convenzionale. Quei piloti guidavano monoposto pericolose, ma che avevano i volanti a forma di volante, non di cloche di aereo. Si impegnavano a guidare, più che a regolare la monoposto ogni 300 metri, e quindi la loro attenzione poteva essere dedicata alla guida (e non ai manettini elettronici, come accade oggi). Erano piloti sanguigni, veri, non sintetici e spesso troppo freddi, attenti ad usare le parole con il bilancino, pena di essere rimproverati dall’Autorità Superiore come un Fantozzi qualsiasi. 

Ayrton Da Silva Senna è stato forse uno dei piloti più grandi – se non il più grande – di tutti i tempi. Stringe il cuore pensare che in questi giorni Imola tornerà a essere al centro della vita della Formula 1, grazie alle manifestazioni in ricordo del pilota brasiliano, ma Michael Schumacher – dai numeri il più grande in assoluto della Storia della Formula 1 finora – a queste manifestazioni non potrà partecipare, perché bloccato da quattro mesi in un letto del Centro Universitario di Grenoble, per una caduta sugli sci (praticamente da fermo)..

Chissà, magari nel suo girovagare tra le dimensioni, Michael starà girando insieme ad Ayrton tra quel che si vede e quel che si vivrà, in ossequio a quanto dispone per ciascuno di noi l’Imperatore del Tempo e degli Spazi.

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(Fonte: Adnkronos/Dpa)

John Horsemoon

Sono uno pseudonimo e seguo sempre il mio dominus, del quale ho tutti i pregi e i difetti. Sportivo e non tifoso, pilota praticante(si fa per dire...), sempre osservante del codice: i maligni e i detrattori sostengono che sono un “dissidente” sui limiti di velocità. Una volta lo ero, oggi non più. Correre in gara dà sensazioni meravigliose, farlo su strada aperta alla circolazione è al contrario una plateale testimonianza di imbecillità. Sul “mio” giornale scrivo di sport in generale, di automobilismo e di motorsport, ma in fondo continuo a giocare anche io con le macchinine come un bambino.