Dopo la strage dei bambini sulla spiaggia di Gaza, Israele accetta la richiesta dell’ONU: 5 ore di tregua umanitaria

La tragedia insopportabile della morte di quattro ragazzini sulla spiaggia di sella Striscia ha spinto emotivamente anche Israele. Robert Serry, coordinatore dell’ONU per l’agenzia che si occupa dei rifugiati palestinesi, ha convinto il governo Netanyahu. Sospese dalle 10 alle 15 locali le operazioni militari per una “tregua umanitaria” che serva a far arrivare rifornimenti e sostegno

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Tal Aviv – “Non sempre il male è nemico del bene”. Vogliamo sperare che questo detto cristiano possa – nell’inconsapevolezza degli attori in campo – produrre effetti positivi per la situazione  sul terreno a Gaza, dove i civili palestinesi che non sono vicini ad Hamas si trovano stretti in una morsa tra chi si difende attaccando (Israele) e chi attacca difendendo indifendibili posizioni: il settarismo religioso di Hamas, spregiudicato fino a mettere in pericolo la popolazione per ottenere un’amplificazione mediatica degli attacchi israeliani. Attacchi che – senza le cautele inedite delle FFAA con la Stella di David – non avrebbero fatto i 213 poveri morti finora registrati, ma migliaia.

Da domani alle 10 ora locale, fino alle 15, Israele manterrà una “tregua umanitaria” proposta dalle Nazioni Unite, tramite Robert Serry, coordinatore delle Nazioni Unite per l’agenzia che si occupa dei rifugiati palestinesi. Sembra che anche Hamas abbia fatto sapere che rispetterà, questa volta, il transitorio “cessate il fuoco”, ma con sviluppi possibili (nonostante gli obiettivi di lungo termine del gruppo di resistenza islamico non contemplino la pace con Israele, né uno Stato Palestinese laico: almeno per ora).

Alla decisione del governo di Bibi Netanyahu non sarebbe estranea la tragedia dei quattro ragazzini palestinesi uccisi sulla spiaggia di Gaza da un bombardamento di unità navali di Israele. Un fatto che ha scosso molti, malgrado – lo ripetiamo – Israele abbia elevato l’asticella dell’approccio umanitario agli attacchi su postazioni militari, desistendo a volte se ci sono civili nei pressi dell’obiettivo.

Ieri pomeriggio a Gaza è probabilmente successo quel che può accadere in una situazione di guerra e di attacco permanente: quei ragazzi vittime tragiche di un “errore di valutazione” della marina israeliana. Da fonti militari è trapelato che sarà aperta un’inchiesta e la stampa internazionale non mollerà la presa per sapere la verità di quanto accaduto, perché se è vero che Hamas ha invitato i civili palestinesi a non tenere in alcuna considerazione gli avvisi degli israeliani, i militari israeliani non sono membri di un gruppo terrorista e non si possono permettere sbagli del genere.

Diversi ragazzi scampati al bombardamento si sono rifugiati all’hotel al-Deira, sul lungomare di Gaza City, poco distante dal luogo in cui sono caduti i proietti di una motovedetta israeliana. In quell’hotel alloggiano diversi giornalisti che stanno coprendo l’operazione “Protective Edge” e molti di loro hanno assistito a questo scempio da testimoni oculari .

L’inviato del The Guardian – Peter Beaumont – ha scritto sul proprio profilo Twitter che “non c’è stato nessun colpo di avvertimento, i ragazzi sono stati uccisi al primo giro, poi gli artiglieri hanno aggiustato la mira e preso i sopravvissuti”. “Ero a 200 metri da li'”, ha aggiunto, Beaumont, che poi ha scritto un lungo articolo per la sua testata, in cui ha raccontato la dinamica della tragedia. Una tragedia che ha colpito per la sua gratuità apparente anche gli ambienti militari (nonostante il pericolo “propaganda” sia sempre in agguato). In un tweet, le IDF hanno postato: “noi consideriamo la morte di ogni civile palestinese una tragedia. Hamas considera la morte di ogni civile israeliano un successo”.

Tregua umanitaria che non significa interruzione dell’operazione militare contro Hamas, anche se da parte del movimento islamico – secondo l’emittente tv “Channel 2” – ci sarebbe la disponibilità a un “cessate il fuoco” più lungo, se inquadrato in una “tregua di 10 anni”, il tempo di riarmarsi fino ai denti e ricominciare da capo la pratica “eliminazione di Israele”.

Resta però in piedi la proposta egiziana – che non accoglie, significativamente, alcuna richiesta di Hamas – su cui l’ala moderata del governo Netanyahu è d’accordo. Il ministro della Giustizia, Tzipi Livni, ha affermato che “se Hamas non accetterà la proposta egiziana”, da Israele arriverà “una risposta ancora più forte”, ossia la ventilata operazione di terra, con l’impiego dei quasi 50mila riservisti mobilitati negli ultimi 15 giorni.

L’ala radicale del Gabinetto israeliano punta a un’accelerazione del processo decisionale, ma Natanyahu – che è falco da una vita – ora si esercita a moderato. Mentre Mahmoud Abbas è in Egitto per premere sul presidente al-Sisi per una soluzione diplomatica (che però elimini Hamas), la diplomazia mondiale è in fermento.

Con un occhio a Bruxelles – e alla candidatura per il ruolo di Lady Pesc – Federica Mogherini si è recata negli ultimi giorni in Medio Oriente per ribadire che la tregua deve essere l’obiettivo. Lo ha detto al presidente uscente, Shimon Peres,  al presidente designato, Reuven Rivlin, considerato un ‘falco’, al proprio omologo Avigdor Lieberman, alla ministra della Giustizia, Tzipi Livni, e al premier, Benjamin Netanyahu, con il quale ha poi tenuto la conferenza stampa finale. “Ora la priorità numero uno è fermare l’escalation di violenze, il lancio di razzi su Israele. D’altra parte siamo molto preoccupati per le vittime civili a Gaza”, ha detto Mogherini, come se fosse dipeso da Israele l’inizio di questa vergognosa pagina internazionale. 

Intanto, domani per cinque ore taceranno le armi israeliani e forse anche quelle del fronte islamista di Gaza. Un modo anche per far lavorare meglio gli uomini che sul terreno stanno provando a staccare la popolazione di Gaza da Hamas, con successo crescente, se il movimento ha dovuto lanciare un appello ai civili perché non seguano le indicazioni dei militari israeliani di lasciare le abitazioni, soprattutto se collocate nei pressi di istallazioni militari o se trasformate in obiettivo militare dai miliziani di Ezzendin al-Qasem, l’ala militare del movimento islamista. 

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