Il Nobel per la Pace sostiene lo sforzo della Tunisia contro il jihadismo
Interrompendo un nostro individuale (infinitamente piccolo) boicottaggio verso il Comitato Nobel, vogliamo sottolineare il valore del conferimento del Nobel per la Pace 2015 al Quartetto per il Dialogo Nazionale in Tunisia, comunicato ieri da Oslo
Il Comitato del Nobel per la Pace ha conferito l’edizione 2015 del premio al Quartetto per il Dialogo Nazionale in Tunisia, costituito dall’Unione Generale Tunisina del Lavoro (UGTT, Union Générale Tunisienne du Travail), dall’Unione Tunisina dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato (UTICA, Union Tunisienne de l’Industrie, du Commerce et de l’Artisanat), dalla Lega Tunisina dei Diritti Umani (LTDH, La Ligue Tunisienne pour la Défense des Droits de l’Homme) e dall’Ordine degli Avvocati Tunisini (Ordre National des Avocats de Tunisie).
Un’assegnazione importante per lo straordinario valore simbolico, che riconosce alla Tunisia il ruolo di fronte della civiltà contro la barbarie. Il Paese è infatti diviso tra i giovani che alimentano le correnti jihadiste, affascinati dall’idea di combattere per Allah al seguito delle truppe transnazionali del califfato nazi-islamista; e le fasce della società più mature e strutturate – sotto il profilo etico, culturale, economico e professionale – che devono combattere questo fenomeno, ma non hanno armi con sufficiente potenza per attrarre senza riserve gli strati più deboli e giovani della società. Dalla Tunisia parte la maggior quantità relativa di foreign fighters che vanno a ingrossare le file dell’ISIS.
Un dramma che si incrocia con la più generale tragedia di questa lotta globale dell’oscurantismo islamista contro il mondo libero (forse anche troppo libero) – che dal 2002 chiamiamo IV Guerra Mondiale – con le migliaia di morti, di donne stuprate e vendute come pecore, di gente sgozzata solo per la fede, solo per non essere musulmani altrettanto devoti al sangue feroce dell’ideologia.
Così, il premio al Quartetto assume l’inconsueto (da Oslo) scossone etico, l’inadtteso sussulto morale, un soprassalto di dignità. Non sempre è avvenuto, perché spesso è accaduto che viscide questioni ideologiche abbiano impedito di attribuire l’ambito riconoscimento a personalità che hanno segnato la storia più recente, disarticolando poteri internazionali che sembravano invincibili (ogni riferimento a Karol Woytila e al suo ruolo per demolire il comunismo sovietico è del tutto deliberato).
A parte questa premessa, il ‘Quartetto’ ha ricevuto il premio per il “decisivo contributo alla costruzione di una democrazia pluralistica”, uno sforzo che è stato ritenuto meritevole perché teso a esaltare il “il valore del dialogo”. Il Comitato per il Nobel ha infatti sottolineato l’auspicio che “il premio di quest’anno contribuirà alla salvaguardia della democrazia in Tunisia e sarà d’ispirazione per chi cerca di promuovere la pace e la democrazia in Medio Oriente, Nord Africa e nel resto del mondo”, si legge nella dichiarazione di ieri.
Secondo il Comitato, “la Tunisia deve affrontare significative sfide politiche, economiche e di sicurezza”, ma soprattutto, “più di ogni altra cosa il premio vuole essere un incoraggiamento al popolo tunisino” con l’auspicio che possa servire “come esempio da seguire per altri paesi”.
Il Comitato norvegese ricorda che nella primavera del 2013 la Tunisia era sull’orlo della guerra civile. Il processo avviato dal ‘Quartetto’ salvò il Paese dalla lotta fratricida, costituendo “un processo politico alternativo”. Solo così si poté sviluppare in pochi anni “un sistema costituzionale di governo che garantisca i diritti fondamentali per l’intera popolazione, senza tener conto del genere, le convinzioni politiche o la fede religiosa”.
Un auspicio e un incoraggiamento, visto che ancora la strada reale per impiantare nei costumi del Paese tali principi è lunga e difficile, ma di certo va incoraggiata.
Dunque, l’inno al “dialogo”, ma nessun accenno al dato essenziale, l’emarginazione degli islamisti dalle velleitarie visioni di conquista del potere, un effetto della ferma volontà tunisina di non staccarsi troppo dall’Occidente, che avrebbe posto un cordone sanitario nel caso di presa del potere dei fondamentalisti.
Nessun accenno al ruolo del movimento al-Nahda, che ha da anni rinunciato ufficialmente alla violenza, dichiarando una svolta liberista e moderata, favorevole a una ‘via tunisina all’islamismo’.
Nessun riferimento alle critiche rivolte al movimento fondato da Rachid Ghannuchi (traslitterato dall’arabo tunisino Rāshid al-Ghannūshī) di taqiya, ossia di dissimulazione dalle vere intenzioni di sovversione del potere per instaurare una costituzione islamista fondata sulla sharia e di essere dietro a molti degli omicidi politico-religiosi degli ultimi anni.
Il “dialogo” come totem, ma questa volta in modo condivisibile, perché è fondamentale sostenere la Tunisia perché non ceda di fronte all’avanzata dell’islamismo jihadista.
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