Cina, importazioni a picco a settembre: -20,4%. Soffrono pure le esportazioni

Per l’11° mese consecutivo calano i dati relativi a importazioni ed esportazioni. Tremano i mercati azionari, che potrebbero decidere la fuga dalle Borse cinesi. Gli analisti prevedono un intervento massiccio del governo centrale, che teme disoccupazione e calo del potere d’acquisto. Si temono proteste sociali che potrebbero perfino mettere in discussione il sistema monopartitico e la supremazia del Partito Comunista Cinese

Pechino – Venti di crisi spazzano la Cina, dove per l’11° mese consecutivo sono calate le esportazioni e le importazioni. Nel mese di settembre, le importazioni hanno registrato un crollo del 20,4%, mentre le esportazioni hanno perso il 3,7% rispetto allo stesso mese del 2014.  Si tratta dell’ennesimo indicatore di crisi per la seconda economia del mondo. Gli analisti, alla luce dei crolli dei mesi precedenti, si attendevano però un calo delle importazioni intorno al 15%, il dato reale quindi supera le attese.

Secondo esperti ed analisti, fattori del drastico calo sono conseguenza della coda della crisi economica internazionale e la debolezza della domanda interna, prodotta a propria volta dal calo del potere d’acquisto del cittadino medio a seguito della svalutazione della moneta nazionale (yuan renminbi, ndr) decisa a sorpresa dal governo di Pechino lo scorso mese di agosto, quale misura volta proprio a rilanciare le esportazioni.

Il drastico calo delle importazioni colpisce ha conseguenze anche sulle esportazioni, visto che gran parte dei materiali importati dalla Cina servono al settore industriale, che ne rimette in circolo i prodotti finiti e assemblati. Tutto il settore industriale è in sofferenza, tanto da spingere gli analisti finanziari a definire il 2015 annus horribilis per la Cina, il peggiore dell’ultimo quarto di secolo in termini di crescita economica.

Le preoccupazioni per il settore industriale però si ripercuotono anche sul mercato azionario, perché gli investitori potrebbero decidere di abbandonare le compagnie cinesi quotate nelle Borse internazionali. Alcuni trader asiatici ritengono però che questa decisione sia improbabile, ma solo perché sono convinti che “il governo centrale interverrà con uno stanziamento massiccio di fondi per evitare il collasso“.

Il governo cinese infatti ha posto la stabilizzazione dell’economia al primo posto tra i problemi da affrontare, per il timore che la disoccupazione e le perdite finanziarie possano innescare un circolo vizioso che trascini in basso il Pil, cosa che produrrebbe ulteriore perdita di posti di lavoro e un crollo del potere di acquisto della classe media.

Fattori che potrebbero scatenare massicce proteste sociali, già cresciute in modo evidente quest’anno e represse con il pugno di ferro dal presidente Xi Jinping. Ma i metodi bruschi potrebbero perfino innescare un meccanismo di detonazione sociale e politico, tale da arrivare a mettere in discussione – in modo repentino – perfino il sistema politico sui generis cinese, fondato sul monopartitismo e il dominio del Partito Comunista che permea ogni ambito sociale e politico, dal centro alla più distante periferia organizzativa amministrativa.

(Credit: AsiaNews) © RIPRODUZIONE RISERVATA

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