Marò: India pone condizioni al rientro di Girone. Ma Renzi si esalta: “ristabiliamo buoni rapporti”

Oggi il Tribunale Arbitrale dell’Aja ha pubblicato il dispositivo della sentenza con cui ha sancito che il Sotto Capo della ‘San Marco’ ha diritto di rientrare in patria, in attesa della decisione finale dell’arbitrato. Le condizioni del governo di New Delhi. Su cosa verte l’arbitrato

Roma – Il Tribunale Arbitrale dell’Aja – attivato dal Governo italiano lo scorso anno – ha pubblicato oggi il dispositivo della sentenza con cui ordina il rientro in patria del Secondo Capo Salvatore Girone, sottufficiale della Brigata anfibia “San Marco” della Marina Militare, sotto indagine preliminare da quattro anni, perché sospettato di aver provocato la morte di due pescatori indiani al largo del Kerala, in India.

Secondo i giudici arbitrali, Italia e India devono concordare le condizioni del rientro in Italia del militare italiano, che comunque resterà sotto l’autorità della Corte Suprema indiana.

Il Tribunale Arbitrale ha confermato l’obbligo per l’Italia di rimandare Girone in India, nel caso in cui la sentenza finale dell’arbitrato stabilisse che la giurisdizione sul caso della “Enrica Lexie” fosse di New Delhi.  Nella sentenza, i giudici ad hoc dell’Aja hanno anche deciso che Italia e India dovranno trasmettere un rapporto allo stesso tribunale sulle misure concordate per il rientro e la permanenza in Italia di Girone e autorizza il presidente della corte a sollecitare le parti se entro tre mesi non avranno presentato il rapporto in questione.

La Corte Suprema indiana ora dovrà fissare le condizioni precise del rientro di Girone, afferma il Tribunale Arbitrale, sottolineando che per Girone potrebbero valere le stesse condizioni e garanzie applicate a Latorre. Così, l’Italia dovrà garantire New Delhi sul fatto che Girone dia conto a un’autorità italiana indicata dalla Corte Suprema indiana a intervalli di tempo regolari, anche questi stabiliti dallo stesso organo indiano. Ancora, al fuciliere della ‘San Marco’ potrebbe anche essere richiesto dall’India di consegnare alle autorità italiane il passaporto e di non lasciare il Paese, tranne che non sia la Corte suprema indiana ad autorizzarlo.

All’Italia spetterebbe invece l’obbligo di informare la Corte Suprema indiana sulla situazione di Girone ogni tre mesi.

Condizioni applicate anche in funzione dell’accordo di devoluzione al tribunale arbitrale della questione che riguarda i due militari della Marina Militare Italiana, accusati come detto di aver ucciso due pescatori indiani – Valentine Jalstine e Ajesh Binki – nel corso di un incidente accaduto in acque internazionali al largo del Kerala, Stato della Repubblica Federale dell’India.

Il fatto che l’incidente sia avvenuto in acque internazionali (ammesso e non concesso che ne siano coinvolti i militari del NMP di scorta alla petroliera italiana ‘Enrica Lexie’) è uno dei pochi dati certi, acclarati, della vicenda, così come il calibro dei proiettili che uccisero i due poveri pescatori, di dimensioni incompatibili con quelle utilizzate dai militari italiani (e di quelli dei Paesi aderenti all’Alleanza Atlantica), di Standard Nato.

Naturalmente l’Italia – da Paese civile – dovrà adempiere alle decisioni del Tribunale Arbitrale dell’Aja, ma le condizioni poste sono di tale pesantezza, da consigliare reazioni meno entusiaste di quelle registrate da esponenti di assoluto rilievo del Governo e del PD, perché a volte anche il silenzio o una reazione fredda servono a comunicare il proprio disappunto.

Invece, anche da parte del presidente del Consiglio dei Ministri è stato registrato un’incredibile apertura a decisioni mortificanti, visto che finora l’India ha violato il diritto internazionale marittimo e il trattato di Vienna sulle immunità diplomatiche e consolari, non certo l’Italia. “Festeggiamo la straordinaria notizia che arriva dall’Aja: il tribunale internazionale ha decretato che il nostro marò Salvatore Girone potrà attendere la sentenza in Italia“, ha scritto Renzi nella sua e-news. “È un passaggio di grande importanza – ha continuato – che dimostra come sia stata corretta la strategia del nostro governo dopo gli errori evidenti dei momenti iniziali di questa triste vicenda. Adesso – ha concluso Renzi – lavoriamo tutti insieme per ristabilire ottimi rapporti di amicizia e collaborazione con il popolo e il governo indiano“.

Solo per ricordare i termini giuridici della vicenda, il Tribunale Arbitrale dell’Aja giudicherà su quale Paese debba esercitare la giurisdizione a giudicare sull’ipotesi di omicidio commesso in alto mare, al largo delle coste indiane. I Giudici ad hoc dell’Aja non giudicheranno se Latorre e Girone sono colpevoli dell’omicidio.

A tal proposito, occorre ricordare cosa stabilisce il Diritto Internazionale Marittimo, ossia la Convenzione dell’Onu sul Diritto del Mare, conclusa a Montego Bay il 10 Dicembre 1982 (UNCLOS, United Nations Convention on the Law of the Sea).

L’articolo 97 (Parte III Alto Mare, Sezione I Norme Generali) stabilisce norme per la “Giurisdizione penale i materia di collisioni o ogni altro incidente di navigazione”. In particolare, al caso che coinvolge la nave italiana e i due militari della Marina Militare, si applicano il 1° e il 3° comma.

Il primo comma stabilisce che “In caso di collisione o di qualunque altro incidente di navigazione su una nave in alto mare, che coinvolge la responsabilità penale o disciplinare del comandante o di qualsiasi altra persona al servizio della nave, alcune azioni penali o disciplinari possono essere istituite contro tali persone, prima delle autorità giudiziarie o amministrative dello Stato di bandiera o dello Stato di cui tale persona è cittadino.

Il terzo comma, invece, stabilisce espressamente che “nessun arresto o detenzione della nave, anche come misura investigativa, sarà ordinata da qualsiasi autorità che non siano quelle dello Stato di bandiera“.

20160503-ART97-UNCLOS

Come può capire in modo semplice, la decisione finale del Tribunale Arbitrale è segnata dal diritto, ma può essere influenzata solo dalla politica errata del Governo italiano, prone a ogni tipo di segnale di debolezza. Così, il ritardo del Governo italiano – fino all’attivazione dell’arbitrato medesimo – è stato più che imperdonabile, mentre l’atteggiamento del presidente della Repubblica pro tempore – Giorgio Napolitano – in un Paese normale sarebbe stato materia di cui si avrebbero dovuto occuparsi tribunali e magistrati.

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