Iraq, storie di cristiani perseguitati dall’ISIL, protetti da persone perbene che aprono uno spiraglio di speranza

A Mosul, racconta una donna cristiana fuggita dalla barbarie dei miliziani islamisti, “ho chiesto aiuto al mio vicino di casa. Abbiamo indossato il niqab per sfuggire ai controlli. Al posto di blocco dello Stato islamico ha detto che eravamo la sua famiglia“. Storie di “Schindler” musulmani che un giorno dovranno essere raccontate

Persone in fuga dall'orrore jihadista

Mosul – Travestiti da sunniti: così alcuni cristiani di Mosul, nel nord dell’Iraq, sono riusciti a fuggire all’avanzata dei jihadisti dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (Isil), grazie all’aiuto di musulmani sunniti che possiamo chiamare “moderati”, ma che sarebbe meglio chiamare ‘persone perbene’. Spesso tra questi eroi silenziosi e anonimi, ci sono vicini di casa con i quali negli anni si erano intessute storie di convivenza pacifica.

Il primo a cui ci è venuto in mente di chiedere aiuto è stato proprio il nostro vicino di casa, Abu Mahmoud (nome di fantasia, ndr), sunnita”, una cittadina cristiana residente in un quartiere di Mosul ha raccontato all’agenzia Aki-Adnkronos International, del gruppo Giuseppe Marra Communications. Quest’uomo si è preso cura di tutta la famiglia, chiedendo alle donne di indossare il niqab per sfuggire ai controlli. “Siamo tutti saliti sulla sua auto – racconta ancora la donna, in condizione di anonimato – e quando siamo arrivati al posto di blocco dello Stato islamico il nostro vicino ha mostrato il suo documento e detto che eravamo la sua famiglia, per cui non ci sono stati controlli ulteriori”. Una volta arrivati al primo villaggio cristiano nella piana di Niniveh, l’uomo ha accompagnato i suoi vicini nella casa di amici, dove vivono tuttora. “Abbiamo portato con noi i gioielli che avevamo, per poter sopravvivere, mentre lui ci ha detto che sta curando la nostra casa, lo sentiamo regolarmente” ha concluso.

Una storia simile l’ha raccontata anche un’altra donna cristiana, presa in custodia insieme alle altre donne della sua famiglia da Abu Amir (altro nome di fantasia), un altro musulmano sunnita ‘moderato’ che vive nel quartiere di al-Baladiyat a Mosul. “Ha pensato che gli uomini potessero cavarsela da soli e ha portato noi donne al sicuro in un villaggio di Dohuk”, nella piana di Niniveh, ha raccontato. Qui la famiglia vive in un prefabbricato, utilizzato come scuola prima dell’arrivo dei profughi. Ad Abu Amir la famiglia ha affidato i suoi beni, perché li custodisca.

Queste due donne cristiane sono solo due dei tanti casi analoghi probabilmente vissuti in Iraq e in Siria, così come in altri posti in cui i jihadisti stanno martirizzando i cristiani, altre minoranze religiose e perfino altri musulmani. Il furore fondamentalista di pensare se stessi come depositari della verità divina rende peggio degli animali gli uomini.

Ma le storie di questi Schindler musulmani andranno raccontate un giorno, per rendere un tributo ai rischi, ai pericoli e al silente eroismo di queste persone che mantengono viva la speranza della vittoria della razionalità umana sull’orrore jihadista.

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