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Il funerale di Antonio Maccanico saluta la fine di un’epoca

Segretario generale del Quirinale con Sandro Pertini, più volte ministro e sottosegretario alla presidenza del Consiglio con Ciampi, una vita dentro le istituzioni e lo Stato

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Ieri il funerale di Antonio Meccanico, scomparso a Roma martedì a 88 anni, è stato una specie di happening, un evento cui sono accorse molte personalità della politica, delle istituzioni, dello sport.C’erano infatti persone legate all’ex ministro da rapporti culturali ma anche sportivi, essendo stato Maccanico un giocatore di tennis. Profonda commozione ha destato l’arrivo della una grande corona di fiori portata dai Corazzieri, inviata dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Tanti venuti a salutare Maccanico: politici, vip, a gente comune che hanno voluto stringersi al dolore della famiglia.

In prima fila la moglie del capo dello Stato, Clio, accompagnata dal figlio Giulio, e poi il presidente del Coni, Giovanni Malagò, Mario D’Urso, il capogruppo Pd al Senato, Luigi Zanda, Pierferdinando Casini, Gerardo Bianco, ma anche Cesare Romiti, Enrico Tomaso Cucchiani, Cesare Geronzi, Renzo Arbore, l’avvocato Giuseppe Consolo, ex parlamentare di AN e Fli, il senatore Pdl Luigi Compagna, Mario Segni, Andrea Monorchio, Franco e Sandra Carraro. Aspetto curioso, anche molti stranieri e turisti di passaggio, incuriositi nel vedere tante persone partecipare al rito funebre.

20130427-antonio-maccanicoGiurista, grand commis di Stato, parlamentare, più volte ministro, presidente di Mediobanca. Antonio Maccanico ha speso la propria vita al servizio delle istituzioni. La sua parabola politica è stata lunga: ministro per gli affari regionali e i problemi istituzionali dal 1988 al 1991; poi fu eletto senatore nel 1992, nella lista del Pri, allorché divenne presidente della commissione Affari costituzionali. In seguito fu sottosegretario alla presidenza del Consiglio del governo Ciampi e nel 1996 l’allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, gli affidò l’incarico di formare un governo di larghe intese che, alla caduta dell’esecutivo Dini, provasse a salvare XII legislatura. Tentativo che fallì.

Nel 1996 fu eletto deputato nella lista Prodi e fu nominato ministro delle Poste e delle Telecomunicazioni del primo governo guidato dal professore bolognese. Nel 2003 lavorò alla norma che dette poi luogo alla legge sulla non procedibilità e alla sospensione dei processi in corso per le cinque più alte cariche dello Stato (noto anche come “Lodo Maccanico”).

L’ultimo saluto a Maccanico è stato una sorta di saluto a una Repubblica che sta per chiudere, proprio nelle stesse ore in cui Enrico Letta sta tentando di costituire un governo che possa arrestare il declino delle istituzioni politiche italiane, prima che il declino economico nazionale.

Uomini di altra pasta, si direbbe, se non fosse dipeso da quelle generazioni – al di là della figura di Maccanico, una delle più limpide della storia repubblicana – la predisposizione delle condizioni per il declino del Paese, stretto da una fiscalità opprimente, indispensabile per un sistema costoso e dispendioso.

Maccanico è stato una persona perbene, un servitore dello Stato e delle istituzioni, ma le generazioni che hanno preceduto Enrico Letta non possono godere della stessa buona considerazione presso la pubblica opinione. Ecco perché il funerale del grand commis avellinese può essere considerato un monito indiretto a Letta: coaguli attorno a se forze giovani e competenti, pretenda di lasciare vecchie cariatidi del potere, ancorché preparate. La pubblica opinione non sopporta più le mummie che hanno ingessato l’Italia, alcune delle quali in via della Scrofa, a salutare Maccanico, erano schierate in servizio permanente effettivo, come nei bei tempi andati. Che però sono stati belli (per costoro), ma del tutto andati.

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