Berlusconi: basta un colpo di tosse, la pillola va giù, la pillola va giù…
La fronda interna al PDL sembra la rivisitazione, con abiti più sobri, di scene già viste in passato. L’epilogo fu tragico per i protagonisti e per l’Italia. Speriamo la storia non si ripeta del tutto…
A molti il paragone potrà sembrare esagerato, ma ciò che sta accadendo all’interno del PDL ricorda molto quanto avvenne nella notte del 24 luglio 1943, quando il Gran Consiglio del Fascismo mise in minoranza Benito Mussolini.
Certo, il PDL non è il fascismo e Silvio Berlusconi non è il Duce, ma i vertici dell'(ex) partito personale dell'(ex) leader del centrodestra hanno deciso di sfiduciarlo, perché avrebbe voluto fare altrettanto con il governo Letta. E a capo della fronda – come accade nelle trame più contorte dei film – c’è il delfino del capo: Angelino Alfano. La scissione, insomma, è alle porte e le conseguenze saranno di portata storica.
Sì, perché il cerchio berlusconiano, protagonista dell’ultimo ventennio italiano – e, anche in questo, ritorna il paragone con l’era fascista – potrebbe essere chiuso da chi lo ha seguito, difeso e sostenuto con la stessa veemenza e fedeltà dei cavalieri di Re Artù.
Appare, infatti, evidente che l’ira del creatore di Forza Italia sia stata provocata dal PD che non ha alcuna intenzione di salvarlo dalla decadenza in Senato. E, “per ripicca”, Berlusconi avrebbe voluto far cadere Sansone con tutti i filistei, certo che nessuno avrebbe fiatato.
Invece, è accaduto l’opposto: Angelino Alfano, vicepremier, ha invitato tutti i deputati del PDL, in forza della sua carica di segretario nazionale, di votare domani la fiducia al governo Letta. Sancendo di fatto l’apertura dello scontro all’interno del primo partito del centrodestra italiano, almeno per il momento. Con il forte rischio che Forza Italia 2.0 si divida prima di nascere.
Il re, dunque, è nudo. Ha perso il consenso dei suoi per via della sua caratteristica principale: l’ostinazione. Dopo la sentenza della Cassazione, avrebbe potuto dimettersi e orientare politicamente il PDL dall’esterno. Come Beppe Grillo fa con il MoVimento Cinque Stelle. Invece, ha optato per la scelta più difficile (e impopolare). E ha perso: perché è stato abbandonato dal suo “Gran Consiglio” che domani non voterà solo per mantenere in vita il governo delle “larghe intese” ma anche (e soprattutto) per mettere in minoranza il proprio leader.
E stavolta non ci sarà alcun tedesco che possa farlo tornare al suo posto. Anche perché la “Cancelliera” è tra le prime che spinge per la fine politica di Berlusconi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA