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Gli interessi italiani in Medio Oriente. Quadro riassuntivo

Gli interessi italiani nell’area mediorientale sono abbastanza intuitivi, ma non sempre lo è il modo o i tempi con cui vengono perseguiti e realizzati. Una rassegna sintetica dello stato dell’arte

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PREMESSA

A tre anni dall’inizio dei movimenti insurrezionali attraversanti l’Arco del Mediterraneo da Rabat a Latakia fino a contaminare la Penisola Araba il futuro delle rivolte islamiche appare diverso da quello auspicato.

La mondializzazione in atto dopo aver registrato negli ultimi due decenni la caduta del sistema sovietico, l’indebolimento dell’unilateralismo statunitense e l’emersione di significative potenze come Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica (BRICS) si avvia verso un sistema a geometria variabile.

Allo scontro Est – Ovest, a quello per “linee di colore” Nord – Sud e al fondamentalismo di matrice religiosa si affianca l’implosione di entità statuali che dalla decolonizzazione al 2010 avevano mantenuto una continuità di potere decisionale nel foro interno e nei consessi internazionali.

La maggioranza degli analisti pur attenti alle dinamiche mediorientali hanno presentato come artefice esclusivo della trasformazione in itinere un nuovo soggetto politico: il popolo che in oceaniche rivolte armato solo dei nuovi mezzi di comunicazione (twitter, face-book, sociali network) chiedeva diritto di studio, occupazione, alloggio affinché ogni persona divenisse da suddito destinatario di soli doveri a cittadino con diritti per un futuro non sottoposto ai rigidi parametri dettati dai “Piani di Aggiustamento Strutturale” – SAP (Structural Adjustement Program) di Fondo Monetario Internazionale (FMI), Banca Mondiale (BM) e delle Istituzioni finanziarie globali.

La svolta epocale in corso è stata indicata – e in effetti lo è –come “primavera araba”.

In un quadro geostrategico i movimenti iniziati nel 2010 e ancora in corso non rappresentano “rivolte per il pane” o “ricerca della democrazia occidentale”.

Un siffatto approccio mono-paradigmatico trascura la complessità dei fattori endogeni ed esogeni nei Teatri coinvolti e fornisce una lettura banalizzante e parziale degli eventi veicolando nell’immaginario collettivo un linguaggio di forte presa mediatica ma di altrettanto scarsa adesione alla realtà.

Non è un caso che sin dal maggio 2011 gli USA al Convegno su Africa e Medio Oriente annunciarono un “Piano Economico di sostegno alla democrazia” in Tunisia ed Egitto  (esteso nell’ottobre successivo a fine missione NATO alla Libia) investendo fondi per 2 mld USD per promuovere settore privato e joint-venture con imprese USA.

Di fatto al “vento mutante” del 2011, dopo la caduta dei leader di Tunisia, Egitto e Libia, nel silenzio-assenso della Lega Araba andava – e va – subentrando un potente “Asse sunnita” conservatore e vicino all’Occidente guidato dalla ricca borghesia collusa con i precedenti regimi e da una parte dell’apparato religioso riformista in grado di offrire una tentacolare rete di sostegno nelle aree di interesse strategico occidentale specie nella “mezzaluna sciita” (Iran, Iraq, Siria, Hezb’Allah libanese e formazioni filo-sciite della Strisci di Gaza).

La restaurazione è in corso e detta le stesse politiche economiche neo-liberiste del passato.

 

IL SISTEMA ITALIA IN MEDIO ORIENTE

La posizione geostrategica dell’Italia, penisola nell’Arco Mediterraneo e ideale ponte di transito per Europa e Balcani, costituisce un valore aggiunto per lo sviluppo dei rapporti internazionali nel M.O. divenuto nel tempo la quarta area del mondo negli Investimenti Diretti Esteri in termini di imprese e lavoratori italiani .

Le priorità per gli operatori economico-finanziari italiani sono le risorse energetiche e le relative reti di distribuzione, infrastrutture, edilizia, telecomunicazione, abbigliamento, privilegiando i Paesi della sponda sud del Mediterraneo – Marocco, Algeria, Tunisia, Libia, Egitto, Israele, Libano, Siria  – senza trascurare Paesi del Golfo, Iraq e Iran.

Se fino al 2010 l’interscambio dell’Italia con i Paesi mediorientali aveva raggiunto significative plusvalenze segnalate dall’ISTAT, gli eventi areali successivi ne hanno depotenziato la spinta propulsiva e, spesso, provocato un sensibile calo.

Allo stato, la situazione areale registra due principali problemi di difficile soluzione.

In primo luogo, la sensibile caduta della situazione di sicurezza nelle aree d’interesse italiano per: le guerre in Libia (2011) e Mali (2013) che hanno contaminato l’intera fascia sahelo-sahariana fino al Corno d’Africa; le rivolte ancora in atto nei Paesi del Maghreb con le estromissioni dei Governi a guida islamica in Tunisia e Marocco e il colpo di stato militare in Egitto (3 luglio 2013); la rivolta eterodiretta in Siria sfociata in perdurante guerra civile; la crescente instabilità in Iraq e Libano, devastati da attentati di  matrice etnico religiosa; l’ancora incerta soluzione del nucleare iraniano.

Il secondo ma non secondario tema è fornito dalla forte ripresa nel M.O. delle iniziative terroristiche di matrice deoband/qaediste in: Libia, a Bengasi il gruppo Ansar al Sharia; in tutto il Maghreb, nella fascia sahelo-sahariana fino al Corno d’Africa, la formazione Aqmi in contatto con gli Shabaab somali e i Boko Haram nigeriani; in Siria, Il Fronte Jabat al Nusra – che il 2 dicembre 2013 ha sequestrato 12 suore nel convento di Santa Tecla a Maalula – e si è riunito con i qaedisti di Harar al Sham dando vita all’Alleanza Islamica, Jaysh al Islam con 43 gruppi di oppositori, Ibn Taymiyya, Sukkur al Golan, Brigate Faruk; in Iraq, la fortissima organizzazione ISI; in Iran la formazione d’origine pakistana Jundallah.

Gli interessi italiani nella Regione mediorientale sono supportati a livello istituzionale da numerose entità statuali con il fine di costruire un “sistema Paese” adeguato a competere con gli altri Stati interessati.

In merito si indicano i più importanti centri decisionali:

–       la Direzione Generale per la promozione del sistema Paese del Ministero degli affari Esteri che svolge: il coordinamento delle iniziative di internazionalizzazione delle forze economiche italiane; il partenariato pubblico/privato; gli strumenti assicurativi e finanziari del commercio estero:

–       l’Istituto del Commercio Estero che dal gennaio 2013 opera in 60 Paesi in collaborazione con la rete diplomatica consolare e le Camere di Commercio all’estero;

–       la Cooperazione allo sviluppo che: sostiene le ONG nei programmi predisposti da NU ed EU; collabora con Regioni ed Enti locali coordinandone gli interessi con programmi nel Paesi in via di Sviluppo interessati e inseriti nelle strategie di cooperazione perseguite dal Governo; sostiene i programmi di P.m.i. e micro-imprese promuovendo contatti con Confindustria e sistema bancario/finanziario e dal 1987 deliberando il finanziamento parziale del capitale di rischio delle imprese miste; favorisce la collaborazione fra Università italiane e Università dei P.v.s. anche finanziando corsi di specializzazione e master.

Anche in conseguenza dell’instabilità nell’intero M.O. non sempre l’attività delle Istituzioni dedicate al coordinamento delle iniziative economiche italiane risultano efficaci in termini di tempistica e proiezioni strategiche per cui adeguano in tempi successivi le priorità sulla base della dislocazione degli interessi economici del capitale finanziario.

In controtendenza, rispetto a un panorama in continuo sommovimento, gli interessi italiani trovano in Israele un partner strategico in diversificati settori.

In merito, non va trascurato il fatto che nel corso del Vertice governativo italo – israeliano (2 dicembre 2013) siano stati firmati ben 12 patti bilaterali su energia, sanità, ricerca, cultura, pubblica sicurezza, protezione civile, cyberspazio, istruzione, sanità, cinema oltre a un’intesa per una futura esportazione di gas naturale da Israele con benefici ricadenti fra gli altri alle industrie belliche Alenia, Aermacchi, Selex, Global e Finmeccanica, all’Acea per l’acqua (con l’israeliana Mekorot).

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