Il Consiglio europeo ha incoronato Junker presidente della Commissione, Renzi incassa flessibilità riforme

Il capo del Governo su Letta: impossibile per l’Italia avere due presidenze nell’architettura europea. Le dichiarazioni di Bersani sono state irresponsabili o una polpetta avvelenata al segretario del PD?

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Bruxelles – Una vittoria e un pareggio per l’Italia e per Matteo Renzi: si potrebbe sintetizzare così la due giorni di confronto tra i capi di Stato e di Governo europei per mettere a punto l’Agenda Strategica di Herman Van Rompuy e per arrivare alla designazione del prossimo presidente della Commissione.

Sulla prima, la delegazione italiana ottiene il non scontato successo di vedere l’Agenda allegata alle conclusioni del Consiglio Europeo. Tutt’altro che un particolare, perché così  l’impegno ad aiutare gli stati impegnati nelle riforme assume maggiore “solennità” e diventa “vincolante”. Sulla seconda, la designazione di Jean Claude Juncker, Renzi ha ottenuto che suo mandato fosse in qualche modo vincolato alle istanze dei socialisti. “Ho votato Juncker perché c’era un documento. Se non fosse stato così non lo avrei votato. È indicato presidente perché c’è un accordo politico“. Un risultato cercato durante una ‘battaglia‘ condotta tra Ypres e Bruxelles, in cui non sono mancati toni accesi e in cui il rischio che saltasse anche l’accordo su Juncker è stato dietro la porta.

In particolare è stato il premier britannico David Cameron a resistere in maniera strenua all’indicazione dell’ex presidente dell’Eurogruppo. E non è passato inosservato, tra i tavoli del vertice, l’accenno di alcuni tabloid inglesi ad alcune ‘passioni‘ attribuite a Juncker, come fumo e alcol. Ma niente è stato di impedimento alla designazione, sicché al termine di una giornata estenuante il leader dell’Ukip, Nigel Farage, ha infierito con toni che ricordano quelli dell’alleato italiano Beppe Grillo: “Cameron è un perdente che non ha imparato nulla“.

Ha invece imparato, e in fretta, Matteo Renzi per il quale Angela Merkel spende parole di grande apprezzamento: “È un premier di successo, con un piano di riforme chiare grazie al quale l’Italia crescerà ancora“. E dire che due giorni fa la sintonia tra Roma e Berlino sembrava essere persa: a Ypres, città duramente segnata da un interminabile assedio tedesco durante la Prima Guerra Mondiale, Renzi e Merkel si erano confrontati senza giri di parole. La cancelliera non era convinta di poter tirare ancora la corda sulla flessibilità nell’applicazione del patto di stabilità con i propri interlocutori e chiedeva all’Italia di accontentarsi. Renzi, consapevole che il pacchetto complessivo delle riforme sarebbe saltato per piazzare il tassello della Commissione, ha invece insistito perché il passaggio fosse esplicitato più chiaramente nel documento finale.

I due si sono poi accordati per dare mandato agli sherpa di andare avanti nel lavoro di limature per tutta la notte. Il risultato è arrivato a Bruxelles, al termine di un vertice durato quasi sette ore. “Chi fa le riforme ha il diritto alla flessibilità” nell’applicazione del patto di stabilità, ha potuto rimarcare con soddisfazione Renzi. “Viola il patto chi dice che bisogna guardare solo alla stabilità. Perché il patto si chiama di stabilità e crescita“, ha aggiunto il capo del Governo italiano. Questo non significa che l’Italia ‘sforerà‘ il tetto del tre per cento nel rapporto tra deficit e Pil. “Non abbiamo intenzione di fare come ha fatto la Germania“, ha ribadito Renzi citando le parole rivolte ieri a Merkel. “Con la signora Merkel ci sono confronti quotidiani. Abbiamo discusso e discutiamo, da parte mia il clima e’ di grande rispetto, ma noi non siano in Europa per chiedere qualcosa con il cappello in mano, abbiamo molto da dire“, ha spiegato il premier.

Ai tempi supplementari, invece, la partita sulle nomine. Se ne riparlerà il 16 luglio nel corso di un Consiglio Straordinario ad hoc. L’Italia, ha detto Renzi, ha pronta la candidatura alla Pesc, la Politica Estera e di Sicurezza Comune, nella persona di Federica Mogherini, che però il capo del Governo italiano si è guardato bene dal citare: forse perché è una mossa diversiva, mentre l’obiettivo è un altro?

La questione ruota attorno al nome di Enrico Letta, dato per candidato alla presidenza del Consiglio dell’Unione Europea al posto di Herman van Rompuy. Una candidatura inesistente, vista la presidenza italiana della BCE, con Mario Draghi. E infatti Renzi ha spiegato che le tre presidenze importanti nell’architettura istituzionale (ibrida) europea vedono già la presenza di un italiano (Draghi), “difficile ne diano due su tre all’Italia“. Il nome di Federica Mogherini potrebbe anche essere un nome civetta, tendente a mascherare il vero nome del candidato, che potrebbe anche essere Enrico Letta, il quale possiede un profilo istituzionale non incompatibile – anche per conoscenza diretta ed esperienza di governo – con il ruolo di Alto Rappresentante della Politica Estera e di Sicurezza Comune dell’UE, al posto dell’uscente baronessa Ashton, distintasi per evanescenza, per un ruolo che è del tutto rappresentativo per un’unione non federale di Stati, che mantengono una formale indipendenza in materia di politica estera, di difesa e di sicurezza interna. 

La vicenda dell’operazione Mare Nostrum, per affrontare la non-emergenza immigrati è a tal proposito significativa di una Europa che va fatta funzionare. Meglio e con più razionalità.

Ma sulla fuga in avanti di due giorni fa dell’ex segretario del PD, Pierluigi Bersani, in merito alla candidatura di Enrico Letta alla presidenza del Consiglio dell’Unione, bisogna capire se si sia trattata di mera incompetenza e flatus voci, o di una polpetta avvelenata lanciata nei confronti dell’attuale segretario del Partito Democratico, che è – così, tanto per ricordarlo – anche capo del Governo. Una semplice coincidenza con il dibattito interno al PD sulle riforme?

(Fonte: Adnkronos) © RIPRODUZIONE RISERVATA