118 Sicilia, un servizio con molte criticità e qualche maleducato

Chi non prova sulla propria pelle come funziona – e come non funziona – un servizio essenziale per la pubblica assistenza sanitaria, non crede si possa arrivare a tale disorganizzazione. Questo è un articolo che anticipa un esposto/denunzia, che sarà presentato ai Carabinieri domani: non vi racconto gli affari miei, sit et simpliciter

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Chi non ha paura dell’infarto, alzi la mano. Non sempre si ha il tempo di fronteggiare un attacco cardiaco, ma chi passa gli “anta” tiene alta la vigilanza, l’autovigilanza. Anche io non faccio eccezione, per predisposizione genetica.

Agire con rapidità ed efficacia – qualora si possa farlo – è fondamentale, costituisce la differenza tra la vita e la morte: tra questa vita e l’Altra Vita. E per chi ha ancora un sacco di cose da fare, insomma… sarebbe un fastidio.

Questa mattina alle 6.30 sono stato svegliato da un lancinante dolore al lato sinistro del petto, il braccio mezzo intorpidito, difficoltà di respirazione. Ho pensato: eccolo, un infarto. Mancava la sudorazione, però ho temuto fosse un attacco cardiaco.

In genere non sono precipitoso, ma mi sono alzato dal letto con molta fatica, sono andato a sciacquarmi la faccia, ho bevuto mezzo bicchiere di acqua. Il dolore però non cessava, la respirazione era resa faticosissima, a filo. Ho fatto mente locale: “se chiamo qualcuno, ci vorranno più di 15 minuti per soccorrermi e portarmi in ospedale. Chiamo il 118“.

Così dal cellulare ho composto il magico numero: magico perché da cellulare non funziona. Provato tre volte: 6.49, 6.49, 6.50. Al quarto tentativo – dalla rete fissa – mi risponde un addetto al centralino, capisco dalla cadenza che è di Catania.

In modo secco, preciso, didascalico dico: “mi chiamo Scichilone, Vincenzo, ho bisogno di soccorso, sospetto di aver un attacco cardiaco in corso”. Parole dette con difficoltà, dato il forte dolore al petto e la respirazione lenta, a filo, per non aumentare il dolore.

A quel punto credo l’interlocutore mi abbia chiesto conferma se la persona da soccorrere fossi io stesso, ma non ricordo bene. Fatto sta che subito dopo mi chiede (dopo almeno due minuti trascorsi nella discussione): “da dove chiama?”. Risposta: “da Gela”. Contro risposta: “ah, ma allora deve chiamare un numero verde, glielo do...”.

A quel punto, con un minimo di forza, ho provato a reagire, alzando un po’ la voce. “Ma come, sto male, le dico che sospetto un infarto e lei…”, interrotto dalla voce più alta dell’interlocutore: “oh, ma lei deve stare calmo, che qua ci viene difficile passare la telefonata al centralino di Caltanissetta…”.

Ho rinunciato a discutere e ho chiesto il numero verde. Poi ho provato a chiamare con il cellulare, dove lo avevo memorizzato. Niente da fare. Ho richiamato con il fisso. In due minuti – due – è arrivata l’ambulanza sotto casa. Per risparmiare tempo, ero riuscito a scendere le scale. Elettrocardiogramma fatto subito, escluso subito l’infarto con probabilità dell’80 per cento. Dopo cinque minuti ero al pronto soccorso dell’Ospedale di Gela. Dopo un’ora avevo certezza non ci fosse un infarto.

Ma non è della mia salute che voglio parlare, piuttosto del funzionamento di un servizio essenziale che non funziona bene per almeno tre ordini di ragioni.

Il primo: non consente le telefonate di emergenza da un cellulare (sono pronto a mostrare i tabulati in tutte le sedi). Il secondo: non c’è un centralino regionale unico, connesso con tutti i nosocomi della Sicilia. Il terzo: alcuni operatori non dovrebbero fare quel lavoro di triage che è fondamentale per l’efficienza e l’efficacia dell’intera filiera di pronto intervento.

Un lavoro che necessita di precisione, tatto ed educazione: qualità che mancano all’operatore catanese del 118 della Sicilia che mi ha risposto questa mattina in malo modo. Un fatto che avrà conseguenze, perché domani presenterò presso i Carabinieri di Gela un esposto-denuncia sui fatti.

Il problema di fondo è che il personale – di dimensioni elefantiache, come riportato dalle cronache – è stato selezionato da modalità inquinate dalla politica clientelare, responsabile dell’affossamento finanziario della Sicilia (e, più in generale, dell’Italia). Invece che assicurare le condizioni per la libera iniziativa privata, unica fonte di vero lavoro, i politici siciliani hanno ipertrofizzato la macchina pubblica, in cui molti individui hanno la convinzione dell’immobilità a vita, malgrado tutto. È tempo di cambiare passo davvero, non lasciandoci più abbindolare dai vari illusori suonatori di flauto magico di turno. A Roma come a Palermo (e a Gela).

Ultimo aggiornamento, 9/08/2014, ore 01:34:09 | © RIPRODUZIONE RISERVATA

Post Scriptum: grazie a tutto il personale medico e paramedico dell’Ospedale di Gela, che opera in condizioni “sociali” difficili con una encomiabile attenzione e professionalità (senza bisogno di conoscere qualcuno). Almeno la mia esperienza odierna è di questo tipo.