La famiglia di Steve Softloff sfida il “califfo”: “avete violato l’islam”
Il portavoce della famiglia di Steven Sotloff – esperto di mondo arabo alla New America Foundation – si è rivolto in arabo al leader dei jihadisti dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, Abu Bakr al-Baghdadi, autoproclamatosi successore del profeta Mohammed: “non gli permetteremo di tenerci in ostaggio con l’arma della paura. Non dimenticheremo”. È la prima volta che – in questa lunga guerra transnazionale e internazionale – la famiglia di un “giustiziato” dai jihadisti si rivolge ai carnefici dei propri cari
Washington – Dopo essersi, inutilmente, appellati alla clemenza di Abu Bakr al-Baghdadi, la famiglia di Steven Sotloff, il secondo giornalista americano decapitato dallo Stato Islamico, ha rotto il silenzio e, per tramite il proprio portavoce, Barak Barfi, si è rivolta direttamente al leader degli jihadisti accusandolo di aver violato i principi dell’Islam.
È la prima volta che accade in questa guerra transnazionale e internazionale, in cui i civili e i militari combattono sullo stesso fronte, ma con armi diverse (almeno per ora è così in Occidente), che i familiari delle vittime civili dei jihadisti si pongono sullo stesso piano (per via mediatica) con i massacratori dei propri cari.
Barfi ha descritto il carattere americano del giovane, amante del cibo spazzatura (junk food), le serie televisive (quelle che noi chiamiamo “americanate”, ndr), il golf; ma ha raccontato anche che il giornalista era diviso tra due mondi e che il mondo arabo lo attraeva, spingendolo a preoccuparsi di “aiutare la gente” in quella zona del pianeta dove “era apprezzato da tutti“.
La famiglia ha la certezza, ha raccontato ancora Barfi, che il trentunenne freelance aiutasse “persino la popolazione comprando medicine e dando consigli ai piccoli imprenditori della zona“. Poi Barfi, che è unp specialista del mondo arabo presso la New America Foundation, si è rivolto direttamente al califfo.
“Ho un messaggio per Abu Bakr al-Baghdadi – ha detto il portavoce leggendo una dichiarazione in arabo e citando il Corano – Hai detto che il mese del Ramadan è il mese della misericordia, ma dove è la tua clemenza?“. “Sono pronto a discutere con te con prediche gentili. Non ho spade in mano e sono pronto ad ascoltare la tua risposta“, ha aggiunto, sfidando il cosiddetto califfo a un dibattito pubblico sui precetti del libro sacro dell’Islam. “Steve è morto da martire nel nome di Allah“.
Quindi, parlando con i giornalisti presenti davanti all’abitazione dei Sotloff a Miami, ha spiegato: “oggi noi siamo in lutto, ma emergeremo da questa tragedia. Non permetteremo ai nostri nemici di tenerci in ostaggio con le sole armi che posseggono, la paura. Non dimenticheremo“.
Nel comunicato, che giunge poche ore dopo le dichiarazioni di Barack Obama, il reporter viene descritto come uno che non era un fanatico della guerra ma che “voleva solo dare una voce a coloro che non l’avevano“. Steven Softloff era un ebreo osservante, innamorato dell’islam.
Era, paradossalmente, quasi un amico dei jihadisti. Con tutta evidenza sbagliava.
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