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Birmania, il presidente ha firmato la legge che vieta la poligamia

Thein Sein ha sancito l’entrata in vigore della norma che punisce la convivenza o il matrimonio con più mogli. Voluta dagli estremisti buddisti, è inserita nel pacchetto dei provvedimenti a difesa “della razza e della religione”. Gli attivisti Hrw lanciano l’allarme: fonte di potenziale discriminazione in fase di applicazione

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Yangon – Il presidente birmano Thein Sein ha approvato l’ultima di quattro controverse leggi volute con forza dai buddisti, ma criticata con forza da gruppi pro-diritti umani, perché lesiva dei diritti della minoranza musulmana. La firma alla legge sulla monogamia è arrivata ieri e ha sancito l’entrata in vigore la norma che proibisce di contrarre matrimonio con più di una donna, ma anche di vivere con una persona se non si è legati in matrimonio

Questa legge è stata promossa negli ultimi mesi dal Comitato per la protezione della nazionalità e della religione – in birmano ‘Ma Ba Tha‘, un gruppo buddista – e si inserisce nel pacchetto “Leggi a difesa della razza e della religione” di recente approvate. In precedenza era stata approvata la legge sulle conversioni, che prevede una approvazione” delle autorità per cambiare religione

Il Myanmar (Birmania) si prepara alle prossime storiche elezioni dell’8 novembre – il primo voto generale, con la partecipazione del principale partito di opposizione (Lega nazionale per la democrazia, che aveva boicottato le urne nel 2011) – registrando una crescente deriva estremista interna. Nel mirino, in particolare, la minoranza musulmana da anni bersaglio dei fondamentalisti buddisti, fin dall’inizio delle violenze anti-Rohingya, nello Stato occidentale di Rakhine nel 2012.

Il governo birmano ha però negato che la norma sia stata scritta ad hoc contro la comunità musulmana, che rappresenta il 5% circa del totale in Myanmar. Sebbene non diffusa, la poligamia è praticata da alcuni membri della minoranza religiosa

Attivisti e gruppi pro-diritti umani hanno criticato con forza il pacchetto di norme votate dal Parlamento e approvate dal presidente. Secondo Phil Robertson, vice-direttore Asia di Human Rights Watch (Hrw), queste norme sono fonte di “potenziale discriminazione” in tema di religione e possono dare la stura a “gravi violenze confessionali”. Con l’entrata in vigore – ha rilevato Robertson – vige la preoccupazione su “come verranno applicate e attuate”.

Anche l’attivista birmano Robert San Aung ha sollevato dubbi sulle modalità di applicazione della legge, che nella sua stesura appare poco chiara. L’avvocato ha rilevato che questa norma “non risponde agli standard internazionali” sui diritti umani e auspica che i monaci buddisti “che amano la pace” e gli studiosi “lavorino insieme per modificare la norma”. Una forma di dichiarazione di resa ai principi musulmani, che non possono essere messi in discussione, pena passare per provocatori o razzisti. 

Per rispondere alla campagna di odio e intolleranza a sfondo confessionale contro i musulmani (Rohingya), in estate un gruppo di studenti birmani ha lanciato la campagna “My Friend” sui social network (Facebook e twitter) per favorire la tolleranza fra cittadini e contrastare l’odio e le violenze islamo-buddiste, rafforzando il valore di unità nello Stato

Contro l’emarginazione e l’abbandono in cui versa la minoranza musulmana è intervenuta a più riprese anche la Chiesa cattolica birmana

(Credit: AsiaNews)

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