Crisi India-Italia. La Corte Suprema di New Delhi regge il moccolo al ricatto indiano sui fucilieri di Marina

Politici e militari, una selva di errori. Le istituzioni sono scatole sacre, rappresentate da persone capaci e inette. Chiedere la rimozione degli inetti è lecito?

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Nella crisi tra India e Italia, attorno alla vita di due servitori dello Stato in missione militare per conto dello Stato, per effetto di una scandalosa legge dello Stato (Legge 130/2011: scusateci la cacofonica ripetizione, ma repetita juvant), continua e sembra inclinare verso il dramma. E qui ci fermiamo per carità di Patria (ma fino a un certo punto).

Oggi, dopo il rinvio di ieri – forse con una sapiente regia mediatica, per conquistare lo spazio giusto sui media italiani, ieri impegnati con le celebrazioni del 25 Aprile e le consultazioni per la formazione del nuovo governo – la Corte Suprema indiana ha deciso che la competenza sulla conduzione delle indagini sul caso dei fucilieri di marina, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, resti al governo federale. Governo che aveva già incaricato l’intelligence antiterrorismo – la NIA – di investigare sui fatti, applicando la legge ad hoc del 2002 (Sua Act), che prevede anche l’applicazione della pena di morte in caso di omicidio.

La Corte di New Delhi ha stabilito che la NIA e il governo debbano agire nel più breve tempo possibile. Il presidente della Corte, Altamas Kabir, capo di una sezione di tre giudici, ha letto una breve ordinanza in cui si afferma che “non è responsabilità della Corte Suprema decidere quale tipo di agenzia di polizia utilizzare per le indagini”, riconoscendo al governo la facoltà di utilizzare lo strumento di indagine “più appropriato” e la legge da applicare. Nella stessa ordinanza è stato specificato che “il tribunale speciale” che dovrà giudicare Latorre e Girone debba essere “esclusivamente dedicato a quel caso” e “dovrà operare con ritmo quotidiano”.

Su richiesta dell’avvocato dei militari italiani, Mukul Rohatgi, il giudice Kabir ha integrato la sua ordinanza riconoscendo che l’Italia possa ricorrere “nelle sedi appropriate” (quali? La Corte Suprema stessa?) contro l’utilizzazione della Nia. I fucilieri di marina del Battaglione San Marco restano liberi su cauzione e continueranno a risiedere presso l’ambasciata d’Italia a New Delhi.

Sarebbe facile dire che la Corte Suprema rinnega se stessa e, in particolare, il contenuto della sentenza del 18 gennaio, con cui si rimandava a un tribunale speciale ad hoc la decisione sulla legittimità della giurisdizione indiana (visto che veniva riconosciuta l’illegittimità della giurisdizione della magistratura statale del Kerala perché i fatti si erano svolti in acque internazionali). Sarebbe facile affermarlo, se la Corte Suprema non fosse parte di un gioco di ricatti verso l’Italia, percepita in un momento di difficoltà istituzionale. Sarebbe il caso di ricordarlo agli irresponsabili che blaterano di golpe e golpini, evocando dispiegamenti militari che in Italia non sono all’ordine del giorno, o a quelli che pensano alle proprie fortune elettorali e non alla fortuna della Comunità Nazionale.

La Corte Suprema indiana però smentisce – in modo inequivocabile – tutte le affermazioni del vice-ministro degli Esteri, Staffan de Mistura, sul quale ieri è piovuto il giudizio a dir poco caustico di Edward Luttwark dalle colonne de “Il Giornale”. “Un personaggio che non è un esperto ma che ha fatto la sua intera carriera all’Onu, dove essere totalmente incapace non è certo un ostacolo alla carriera” ha dichiarato il superconsulente americano di origini rumene, che ha chiarito come de Mistura sia “solo un bellimbusto e in India, ma non solo lì, è considerato un cretino”. Un giudizio severo, che viene spiegato con un retroscena. Nel lavoro diplomatico dietro le quinte (necessariamente dietro le quinte), grazie all’impegno certosino dell’ambasciatore Mancini, era stata trovata una soluzione che rispettasse le leggi indiane (e la faccia di un Paese di 1 miliardo di persone) senza penalizzare troppo i due militari italiani, atteso l’errore che ha generato la situazione, quello di entrare in acque territoriali indiane. Bisognava rifiutare l’invito della Guardia Costiera, l’India non avrebbe rischiato le pesanti ripercussioni internazionali di un inseguimento militare in alto mare.

Visto che Luttwark non è personaggio che apre bocca a vanvera, occorre fare il punto della situazione, perché è evidente che dagli Stati Uniti arrivi un messaggio di vicinanza, spendibile sotto il profilo diplomatico (ambito, ripetiamo, in cui non tutto può avvenire alla luce dei flash dei media).

Massimiliano Latorre e Salvatore Girone restano ostaggi di un gioco di ricatti da parte indiana, che hanno potuto dispiegare gli effetti grazie all’incapacità del governo italiano di mandare in India le persone giuste. Che de Mistura non fosse adeguato (senza ripetere le affettuosità di Luttwark) era evidente, così come altrettanto evidente è stato l’imbarazzo dell’ambasciatore Mancini di dover continuamente aggiustare una situazione in cui egli agiva come Penelope di giorno, mentre altri si mettevano a disfare la tela di notte. Ne consegue che una censura parlamentare sull’operato di de Mistura sarebbe auspicabile.

Ci sono altri attori che hanno mancato di incisività, forse per eccesso di rispetto istituzionale, i vertici militari. Giampaolo di Paola, in occasione dell’audizione alla Camera, affermò di concordare con il ministro degli Esteri, Giulio Terzi, ma di dissentire dalle sue dimissioni, perché “la nave non si abbandona”. A tutti è evidente che la nave a cui si riferì l’ammiraglio Di Paola (militare dal curriculum di platino, peraltro) non doveva essere il governo della Repubblica dimissionario, ma le vite di Latorre e Girone poste sul banco della roulette diplomatica da una legge assurda (Legge 130/2011) che ha equiparato la Marina Militare Italiana a un’azienda di security.

I vertici militari avrebbero dovuto (e dovrebbero subito, senza attendere oltre) elevare con fermezza la protesta, verso una condotta vergognosa, che rischia di mandare al patibolo indiano due militari italiani, colpevoli solo di essere fedeli alla bandiera Tricolore e al giuramento di fedeltà allo Stato. Dovrebbero farlo anche con mosse eclatanti, dal primo all’ultimo della scala gerarchica: un fiocco giallo al petto e il rifiuto del rancio, per esempio. Non vorremmo che le attuali timidezze potessero dipendere da eventuali guerre intestine tra le Forze Armate, di cui potrebbe essere un effetto l’apparente incomunicabilità esistente forse tra alcuni organismi di rappresentanza delle varie armi.

A questo punto, sarebbe indispensabile che i militari richiedessero l’immediato ritiro dei Nuclei Militari di Protezione (NMP) dalla protezione della flotta mercantile, affidando la partecipazione alle operazioni Onu anti-pirateria solo alla flotta militare dispiegata nell’Oceano Indiano.

Noi pensiamo che il costo per l’Italia sia già stato troppo alto, in termini di perdita di credibilità internazionale, e che sia il caso di agire per non subire una immeritata sconfitta su tutti i fronti. Il governo in carica per gli affari correnti dia segni di discontinuità, mentre il nuovo governo Letta deve mettere tra i primi punti in agenda il ritorno, con ogni mezzo, di Latorre e Girone in Italia, dove risiede il giudice naturale che possa indagare legittimamente sul loro operato e possa giudicare sui fatti accaduti sul territorio italiano.

Certo, andrebbero anche previste misure di emergenza, come la riduzione al minimo dell’attività diplomatica e della cooperazione italo-indiana, anche attraverso il momentaneo ridimensionamento della sede di New Delhi; la diramazione di un warning ai cittadini e alle imprese italiane in India, perché siano avvertite del pericolo relativo alla loro permanenza nel Paese delle vacche sacre. Azioni utili a evidenziare che l’India stia violando i patti internazionali nei confronti di un Paese civile.

La civiltà dell’Italia è testimoniata dal fatto che nessun atto contro la comunità indiana in Italia sia stato perpetrato dall’inizio di questa vicenda vergognosa. Il governo indiano farebbe un grave errore se scambiasse la generosità di un popolo con l’inettitudine di un governo, perché i governi passano e i popoli restano. E hanno memoria lunga.

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