Obama legittima i talebani per evitare l’idea di un “Vietnam 2”
L’esportazione della democrazia non può essere compiuta senza la partecipazione dei destinatari del “regalo”.
Niente colloqui oggi, a Doha (Qatar) tra i talebani e rappresentanti degli Stati Uniti d’America. Lo hanno riferito fonti diplomatiche, che hanno confermato l’indirizzo dell’amministrazione Obama, ma non hanno indicato una tempistica certa. Di certo avranno pesato le forti critiche provenienti dal presidente dell’Afghanistan, Hamid Karzai, indispettito per essere stato messo da parte.
Per di più, il presidente afgano non ha digerito affatto che davanti all’ufficio dei talebani a Doha è comparsa la scritta “Emirato Islamico di Afghanistan“, ovvero il nome che i talebani usavano quando governavano in modo indisturbato a Kabul e dintorni, successivamente rimossa.
Insomma, a causa della scelta di Washington di trattare con il nemico talebano, rischia di delegittimare la figura di Karzai, facendo tornare in voga la definizione di “presidente fantoccio“.
Tra l’altro, sedersi allo stesso tavolo per parlare di “pace” con chi ha partecipato attivamente all’11 settembre (e a tutto ciò che ne è derivato) e con chi ha ridotto l’Afghanistan in uno Stato da “Medioevo”, dove neanche gli aquiloni potevano volare liberamente, lascia alquanto perplessi.
Innanzitutto, perché accordarsi con il nemico lancia un messaggio implicito facilmente leggibile: è impossibile cacciare i talebani dall’Afghanistan. Significherebbe vanificare l’azione delle Nazioni Unite, con il mandato ISAF, seguito alla campagna Enduring Freedom, lanciata dagli USA all’indomani degli oltre 3.000 morti delle Torri Gemelle. L’intervento multinazionale di peace keeping è costato finora oltre 2500 caduti nella forza militare multinazionale guidata dalla NATO e sotto egida ONU.
Inoltre, la decisione di emarginare il presidente Karzai – voluto da Bush Jr – segnala anche il fallimento del senso dell’intervento: l’esportazione della democrazia.
Torna, dunque, per gli americani lo spettro degli accordi di Parigi del 1973 che misero la parola fine alla guerra in Vietnam, oggi sinonimo di “sconfitta dolorosa” e di “perdita insensata di vite”. Ed il conflitto afgano rischia di fare la stessa fine.
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