Erich Priebke, uno di noi…
(Leggete l’articolo, prima di commentare: è importante) A 70 anni dalla deportazione degli ebrei italiani, se consideriamo Priebke fuori dall’ordine delle cose – essendo fuori dall’Umanità i suoi gesti (a prescindere da pentimenti tardivi) – falliamo l’obiettivo: evitare che altri nazisti (magari con insegne di diverso colore e forma) possano incrociare il percorso del Genere Umano, di tutti noi
L’indegna gazzarra di questi giorni attorno al corpo mortale di Erich Priebke ci consegna un’Italia affetta dalla malattia suprema della società: l’ignoranza, che è peggio di una malattia del corpo. Una volta manifestatasi, l’ignoranza è difficilmente curabile se non con l’impegno indefesso, consapevole, responsabile di chi ne è portatore insano. Serve uno scatto di sensatezza primordiale per curare la propria ignoranza, mentre per le malattie ci si può affidare a bravi medici, quasi sempre.
Il detto “chi muore giace, chi vive si dà pace” non è valso a far comprendere agli ignoranti riuniti in circolo, in un’ideale Stonehenge della barbarie ad Albano Laziale, la forza del motto. La parte peggiore del criminale di guerra Priebke se n’è andata al venir meno del suo respiro, il corpo è solo un contenitore di orrore svuotato del suo diabolico contenuto.
Chi ha fede ne affida il giudizio a Dio, non soggetto a quello umano; chi non ha il dono della fede si rimette alla giustizia giudiziaria degli uomini e ne ha rilevato con sollievo la scomparsa di un demone. In entrambi i casi, il giudizio storico ha condannato il nazismo e i nazisti, il fascismo e i fascisti: non altrettanto il comunismo e i comunisti, perché a volere fare calcoli di mera aritmetica, le sorprese sarebbero tante. Da parte di chi avversa – con la forza della conoscenza – ogni totalitarismo, non è una sorpresa, è la dimostrazione che sapere usare lo strumento (storiografico) può portare indubbi benefici propagandistici. Ma queste ideologie sono criminali, tutte. Ogni pentimento finale di Priebke forse gli sarà utile con Dio, non potrà esserlo con gli Uomini, con tutti noi.
Eppure, Erich Priebke era uno di noi. Come me, se mi facessi prendere la mano da un’ideologia farneticante: chi dice che non potrei essere un feroce esecutore di ordini assurdi? Così come il medico del secondo piano, il direttore di banca del terzo, la maestra che abita di fronte, l’artigiano del piano terra, il medico della porta accanto. Ciascuno è uno di noi, come Priebke.
Apparteneva al genere umano, Erich Priebke, non veniva da un altro pianeta, era in tutto e per tutto come noi, come i diavoli del jihad che ammazzano i bambini in Siria e ne strappano il cuore per mangiarlo; come i manovali dell’orrore in Kenya, o come quelli operanti nel passato in Cile, in Argentina, nei campi di sterminio (pardon: rieducazione) della Cina odierna o della Nord Corea, pozzo senza fondo della follia ideologica comunista.
Erano come noi tutti i soldati olandesi dell’Onu che permisero lo scempio di Srebrenica, così come uno di noi erano gli assassini seriali sovietici, esecutori delle purghe, delle persecuzioni, dei pogrom contro gli ebrei. Ed era uno di noi ogni folle alternatosi nella parte di aguzzino nella lunga scia di sangue che parte dalla Rivoluzione Francese e arriva al baathismo nazionalsocialista di Aflaq, al nazislamismo wahabita e qutbita dei cattivi maestri dell’Islam imperialista impersonato, come generale di un esercito senza divisa, dal mito Osama bin Laden.
È uno di noi perfino l’operatore del Predator che risponde “comandi” all’ordine di boia remoto e uccide chicchessia a distanza, lontano mille miglia, senza chiedersi se il destinatario dell’attenzione abbia subito un “giusto processo“, ossia se sia garantito da uno di quei baluardi della civiltà contenuti nel “Bill of rights”, che finora ha fatto degli Stati Uniti il contrafforte delle libertà. E lo scrive, lo pensa un innamorato degli Usa, non un antiamericano ideologico, un innamorato fidanzato in eterno con la Statua di New York, ideale ponte tra Vecchia e Nuova Europa al di là dell’Atlantico.
La differenza tra gli Erich Priebke e chi, tra noi, non si è reso e non si rende pupo dell’orrore è la razionalità umana, il senso della comune appartenenza a questa banda di pazzi esauriti che si chiama Umanità; il senso di dovere contribuire al miglioramento etico della specie, non ad affondarne una parte; l’imperativo categorico di massimizzare il bene verso se stessi, minimizzando il male altrui, una sfida continua.
Per questo è una scorciatoia – direzione imbecillità – sputare e dar calci all’auto che porta un cadavere, ma è stata altrettanto una manovra diversiva – a uso e consumo di una evanescente popolarità giornalistica – dare la notizia di un funerale che avrebbe dovuto rimanere privato, se non addirittura segreto. Certuni hanno l’obbligo di far perdere le proprie tracce una volta morti: ai superstiti il dovere di eseguire questa semplice regola di un testamento collettivo ineludibile.
Per tutto questo Erich Priebke era uno di noi: spetta a ciascuno di noi fare in modo che alcun alro Erich Priebke possa incrociare il destino dell’Umanità.
Ultimo aggiornamento 17 Ottobre 2013, ore 22.18 | © RIPRODUZIONE RISERVATA