Serpeggiano sfiducia e delusione in Cina per le mancate riforme democratiche del III Plenum

La conclusione del vertice del Partito comunista apre a una riforma di mercato orientata verso i privati, ma mantiene i vecchi paletti. Timori per la creazione della Commissione per la sicurezza nazionale, che potrebbe far divenire ancora di più la Cina uno “Stato di polizia”. Analisti: “Senza liberalizzazione politica, le misure economiche non riusciranno”. Al centro l’economia, ma non le libertà politiche. Necessarie riforme nel sistema creditizio

III Plenum Partito Comunista Cinese

Pechino – Le decisioni rese note ieri alla fine del terzo Plenum del Partito comunista hanno scatenato un dibattito su internet, dove gli utenti cinesi hanno espresso “delusione” per le mancate riforme democratiche e “sfiducia” riguardo la possibile riforma della legge sul figlio unico. L’annuncio sulle nuove politiche economiche – che dovrebbero prevedere un maggiore peso dei privati anche nei colossi statali – era atteso, mentre la nuova Commissione per la sicurezza nazionale fa temere un peggioramento per la difesa dei diritti umani e civili in Cina.

Un sondaggio online promosso dal South China Morning Post ha chiesto agli utenti se con la nuova Commissione «la Cina diventerà ancora di più uno stato di polizia»: l’83% ha risposto in maniera affermativa. Sul giornale Caixin, inoltre, sono state riportate le opinioni dei lettori, secondo cui la possibile riforma della legge sul figlio unico – che prevede due figli per le coppie composte entrambi da figli unici – è una mossa «che concede troppo poco e troppo tardi» a fronte del crollo della natalità del Paese.

Anche dal punto di vista economico ci sono delle perplessità. Nel documento finale del Plenum si legge che «il principale problema è di gestire correttamente le relazioni fra il governo e il mercato, anche se rimane la preponderanza dei settori economici di Stato ai quali verrà lasciato il ruolo motore della nostra economia“. Secondo i media cinesi le linee guida approvate potrebbero aprire alla concorrenza in settori chiave come ferrovie, finanza o telecomunicazioni.

Secondo Zhang Ming, analista politico della Renmin University, questi proclami rimarranno sulla carta senza democrazia. Per l’accademico, infatti, «senza uno sforzo sostanziale verso una vera liberalizzazione della politica, è difficile che le riforme economiche di mercato potranno avere successo».

L’appuntamento istituzionale ha vissuto in uno scenario di “affanno economico”, visto che il tasso di crescita è precipitato al 7% annuo, il peggiore degli ultimi due decenni. Il motore economico cinese sta rallentando e non è un caso che questo avvenga in un momento in cui il Partito è sempre più sotto pressione, a causa di scandali di corruzione e da divisioni interne.

Non stupisce perciò che al centro dell’analisi dei 373 componenti del Comitato Centrale siano state le questioni economiche, più che le riforme politiche richieste ormai da più parti, come conseguenza naturale dell’evoluzione del sistema.

Se in economia è stato ribadito che il mercato debba avere un ruolo maggiore, se non decisivo, per sviluppare la seconda economia mondiale, è mancato il coté politico, perché non è stata annunciata alcuna riforma delle aziende statali, ossia dell’apparato di oltre 110 aziende che costituiscono il fulcro fondamentale del motore economico cinese, con manager pubblici scelti dalla politica e fedeli al partito. La riforma di questo sistema di economia statalista sarebbe il primo fondamentale passo per la liberalizzazione politica in Cina.

Altra grade riforma non focalizzata dai membri del Politburo riguarda il sistema creditizio e finanziario. Restano le limitazioni agli investimenti, anche stranieri, che andrebbero tolte per permettere alle banche commerciali di decidere le politiche creditizie con un tasso di prestito autonomo. Una riforma cui il presidente Xi Jinping starebbe peraltro pensando.

Ritorna perciò il claim espresso oltre due decenni fa dallo storico Francis Fukuyama sulla “fine della Storia” (nel saggio The End of History and the last man), un motto con cui lo storico di origini giapponesi intendeva affermare come lo stato democratico di diritto e liberale è l’ultimo stadio possibile del progresso umano.

Nella teoria liberale si afferma infatti che la democrazia economica necessita di democrazia politica e che l’una porta l’altra, come espressione compiuta dei diritti di libertà.

In Cina se ne stanno accorgendo: quando accadrà davvero in Europa e in Italia?

(Credits: Asia News, Ispi, Flickr)