Sindrome cinese: la Cina diventerà la prima economia mondiale già nel 2014. Stati Uniti sorpassati

Secondo uno studio dell’International International Comparison Programme della World Bank, anticipato dal Financial Times, gli Stati Uniti potrebbero perdere già quest’anno la prima posizione nella classifica delle Paesi industrializzati. L’India al terzo posto, Germania migliora un po’ e l’Italia – nonostante la crisi – rimane stabile e resiste: significa qualcosa?

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Roma – Gli Stati Uniti stanno per perdere il loro primato nell’economia mondiale e si apprestano a cedere il passo alla Cina. Il sorpasso avverrà prima di quanto fosse previsto, nel 2019, forse già quest’anno.

Il dato emerge da uno studio dell’International Comparison Programme della World Bank, che sarà diffuso oggi e che il Financial Times anticipa nell’edizione di oggi in un articolo che si merita l’apertura in prima pagina.

Gli Stati Uniti detenevano il primato dal 1872 quando lo sottrassero alla Gran Bretagna. È la prima volta che lo studio viene aggiornato dal 2005, anno in cui l’economia cinese era circa la metà di quella statunitense, rappresentando solo il 43% del totale Usa. Nel 2011 è arrivata all’87% del Pil Usa, non solo per la crescita più veloce, ma anche grazie a una modifica delle metodologia di calcolo che è ora basata sulla parità dei poteri di acquisto.

Il rapporto sostiene che nel 2011 gli Stati Uniti “rimanevano la prima economia mondiale ma erano seguiti da vicino dalla Cina“. Basandosi anche sui dati del Fondo Monetario Internazionale – che ha stimato una crescita dell’economia cinese del 24 per cento tra il 2011 e il 2014 a fronte del 7,6 di quella americana – il Financial Times conclude che è probabile il superamento degli Stati Uniti da parte della Cina già quest’anno.

Guardando le tabelle del rapporto ICP, l’intera classifica mondiale ne esce rivoluzionata. L’India sale dal decimo al terzo posto con un economia che rappresentava quasi il 19 per cento del Pil Usa nel 2005 e raggiunge il 37,1 per cento nel 2011. Russia, Brasile, Indonesia e Messico rientrano nei primi 12, mentre gli alti costi e la minore crescita allontanano ulteriormente Regno Unito e Giappone dagli Usa rispetto al 2005.

La Germania migliora leggermente la sua posizione rispetto al colosso americano passando dal 20,3 per cento del Pil Usa al 21,6 per cento, mentre l’Italia rimane stabile (13,2 per cento nel 2011). I paesi più ricchi continuano a rappresentare il 50 per cento del Pil globale, pur rappresentando solo il 17% della popolazione. Il dato riguardante il Bel Paese è particolarmente interessante, perché mostra quali margini di miglioramento avrebbe l’economia italiana se fossero compiuti passi fondamentali quali la deburocratizzazione del Paese, l’adeguamento in senso europeo dei sistemi giudiziari penale e civile, l’abbattimento dei costi energetici attraverso il ricorso di fonti rinnovabili e l’abbassamento della pressione fiscale, tutti elementi che contribuiscono a bloccare, ingessare, paralizzare l’economia nazionale. Un monito e allo stesso tempo un obiettivo da perseguire.

Confrontando il costo della vita nei differenti Paesi, il rapporto sottolinea inoltre che i quattro Stati in cui è più costoso vivere sono Svizzera, Norvegia, Bermuda e Australia, mentre i Paesi più economici sono Egitto, Pakistan, Myanmar ed Etiopia.

(Credit: AGI, AsiaNews)