Editoriali del direttore | Le dimissioni di Bossi e lo scandalo nella Lega Nord, di John Horsemoon - 10.04.2012 | THE HORSEMOON POST -

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Editoriali del direttore | Le dimissioni di Bossi e lo scandalo nella Lega Nord, di John Horsemoon - 10.04.2012 | THE HORSEMOON POST


Indice degli articoli

Gli editoriali del direttore

Finanziamento pubblico indispensabile alla democrazia, ma serve nuova etica pubblica

Le dimissioni di Bossi e lo scandalo nella Lega Nord

Differenze, conferme e illusioni

La questione meridionale e quella settentrionale lasciano il passo alla "Questione Italiana"

di John Horsemoon

Articolo pubblicato il 10.04.2012 h 14.30
Tag: Umberto Bossi, Lega Nord, Questione Settentrionale, Questione Meridionale, finanziamento pubblico, partiti politici, crisi italiana

Il ciclone giudiziario che ha investito la Lega Nord ha consentito all'esercito dei fustigatori di mestiere di dar fiato alle trombe, con l'aiuto di qualche “manina” amica, capace di divulgare sui giornali i minimi particolari dell'inchiesta in corso, comprese le intercettazioni telefoniche e ambientali. La pubblicazione delle riprese dell'autista di Renzo Bossi, figlio del fondatore del movimento lombardo, fa poi pensare che qualcosa di preparato ci fosse, ma certo l'argomento “complotto” sembra per ora improponibile. Potremmo dire che se complotto c'è stato, i leghisti se lo sono autoprodotto, comportandosi in modo censurabile sotto il profilo etico, nell'uso delle risorse elargite dal finanziamento pubblico che, come è ampiamente noto,  fu cacciato dalla porta per effetto dell'abrogazione con referendum popolare, ma che è rientrato dalla finestra con altro nome (contributo elettorale).

Prescinderemo dalle modalità con cui i censori un-tanto-al-chilo hanno illustrato la “caduta” di Umberto Bossi. Perfino il conio del termine “Padania” è stato attribuito alla Lega Lombarda di Bossi, mentre è noto che questo termine fu utilizzato dalla Fondazione Agnelli nel 1992, in uno studio socio-economico delle regioni del nord Italia in rapporto con quelle del centro-Europa; ancor prima, negli anni '70 del XX Secolo, da Indro Montanelli e dal presidente del CNEL, Giuseppe de Rita; nel 1975 dal presidente della Regione Emilia-Romagna, il comunista Guido Fanti, entrato nel dibattito istituzionale con la proposta di costituzione di una Super-Regione, chiamata Padania, che avrebbe dovuto riunire cinque regioni settentrionali (Piemonte, Liguria, Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto).

E prima ancora, negli anni Sessanta, il celeberrimo scrittore e giornalista Gianni Brera aveva utilizzato “Padania” per identificare il territorio dell'Italia settentrionale che dai tempi di Catone veniva chiamata “Gallia Cisalpina”.

Le dimissioni di Umberto Bossi sono un atto di responsabilità e un esempio per la politica italiana
Le dimissioni di Umberto Bossi sono un atto di responsabilità e un esempio per la politica italiana

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Le dimissioni di Bossi e lo scandalo nella Lega Nord
Differenze, conferme e illusioni


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Una multa può farvi scoprire un mondo di inefficienza

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L'opinione di un Ignorante: è tempo di mettere i puntini sulle "i".


Gli emolumenti dei politici sono un falso problema


 

Senza sminuire il lavoro dei magistrati inquirenti, chiamati a indagare su fatti assai rilevanti (come l'ipotizzato ruolo di organizzazioni criminali calabresi nel trasferimento all'estero di fondi della Lega), sembra di poter dire che l'azione giudiziaria sia scattata proprio al momento giusto, alla vigilia di una importante tornata elettorale per le amministrative, quasi un bivio storico per le istituzioni del Bel Paese. Coincidenze, evidentemente, perché sarebbe grave se fosse il contrario, ma utile a far scattare nella cittadinanza la “molla del giudizio”: sono tutti uguali. Tutti colpevoli, nessun colpevole.

Eppure, la storia della Lega Nord mostra differenze, conferme e spinge qualche osservatore (anche interessato) a farsi delle pericolose illusioni.

Le differenze. Malgrado non sia stato colpito da alcun avviso di garanzia (neanche a mezzo stampa...), Umberto Bossi ha subito deciso di rimettere il proprio mandato di segretario politico del partito. Ossia, ha posto sul piano politico la traccia indelebile della presa di coscienza (politica) che qualche errore fosse stato fatto. Si è assunto le proprie responsabilità politiche. Una decisione presa per motivi strategici? Si entrerebbe nel processo alle intenzioni, cosa che nessuno può fare. Possiamo solo valutare gli atti e i fatti: l'atto delle dimissioni è un atto pesante, soprattutto perché preso in modo autonomo.

Insomma, dimissioni dettate dal buon senso e dal senso di opportunità, una differenza di non scarso rilievo. Le ulteriori dimissioni di Renzo Bossi, figlio del “senatur”, dal seggio di consigliere regionale della Lombardia non aggiungono niente, anche se forse sono meditate a tavolino, ma al contrario ribaltano sugli altri un problema importante: come comportarsi in caso di indagini giudiziarie? Il “Trota” non risulta indagato, né ha goduto di alcuna immunità durante il mandato regionale. Non così altri suoi colleghi di scranno, in Lombardia, in altre regioni e perfino nel Parlamento nazionale, che risultano indagati e perfino rinviati a giudizio da giudici della Repubblica, ma non pensano minimamente di lasciare la poltrona.

Seconda importante differenza. La richiesta principale di “pulizia” è venuta dall'interno della Lega. Ai pochi “arroccamenti” a difesa dell'operato finanziario del partito è stato dato poco spazio. Sia i dirigenti che la base popolare del movimento hanno chiesto si facesse immediata chiarezza e si abbattesse subito quel “Cerchio Magico” che attorniava Bossi e ne influenzava le decisioni in modo diretto e indiretto. Quell'ambiente da commedia all'italiana di infimo ordine, da Rosy Mauro alle segretarie pseudo-fedeli che fotocopiano le prove di presunti illeciti, ai figli del leader leghista, sono responsabili anzitutto di aver approfittato dello stato di obiettiva vulnerabilità di Bossi e di aver lucrato sulle finanze del partito per frizzi, lazzi e titoli di studio conseguiti all'estero, ma di dubbio valore concreto sul campo: l'ignoranza non si cancella con un pezzo di carta.

Ci sono anche alcune conferme, un dato ricorrente nella Storia della partitocrazia italiana. Così come in casi analoghi (ultimo, ma solo in ordine di tempo, il furto con destrezza del senatore Luigi Lusi dalle casse della ex Margherita) la politica italiana conferma di essere fuori dal seminato democratico, malata di vertigine da potere, autoreferenziale. Nei fatti che riguardano la Lega, finora apparsa in genere immune dalla malattia della cattiva gestione, si conferma che l'assenza di ricambio in politica genera una stasi pericolosa anche per i costumi, perché genera la convinzione infondata di inamovibilità, di perpetuità, di onnipotenza. La politica ha invece per protagonisti persone, che al contrario sono mobili, transitorie e non onnipotenti per definizione. L'esperienza politica dovrebbe essere assolutamente temporanea, non un “lavoro” stabile; nessuno è perpetuo e tutti siamo di passaggio su questa Terra; Onnipotente c'è solo Dio (per chi crede: chi non crede non pensa che esista alcuna onnipotenza).

L'effetto più pericoloso rilevato negli ultimi giorni è però l'illusione di taluni (per esempio Pierferdinando Casini, leader dell'UDC) che la Lega Nord possa declinare politicamente a seguito delle vicende giudiziarie di alcuni esponenti. Questa illusione deriva o dalla sconoscenza delle motivazioni di base che sostengono il partito di Bossi e Maroni; o da una voluta sottovalutazione del fenomeno. Dare per spacciata la Lega Nord è un atto di stoltezza politica, perché non tiene conto delle istanze che il movimento nordista raccoglie nella società settentrionale e che nulla hanno a che fare con il razzismo di pochi imbecilli.

Queste sollecitazioni, che vengono sostenute anche da ampi strati sociali e culturali meridionali non rappresentati politicamente, non svanirebbero anche se la Lega Nord svanisse con un colpo di bacchetta magica. Se Bossi e tutti i principali dirigenti del movimento sono riusciti a mantenere le montanti proteste in un canale democratico e politico, la scomparsa di queste personalità non determinerebbe di per se l'evaporazione del fenomeno politico, ma semmai potrebbe innescare scintille pericolose per l'ordine pubblico. Non perché nella Lega si annidino pericolosi sanguinari, pronti a cibarsi delle viscere dei nemici, un'orda di barbari alle porte della democrazia italiana; solo perché il tessuto produttivo settentrionale non ce la fa più a sostenere il tasso di esazione fiscale di uno Stato onnivoro, spendaccione, pesante, sprecone, rappresentato da persone dalle quali nessuno di noi comprerebbe mai un'auto usata.

Nel nord del Paese questa situazione è recepita come non più sostenibile, perché le imprese pagano un quadro di corruzione elevata e un livello di competitività attenuata (nella migliore delle ipotesi) che ne renderà difficile la ricollocazione sul mercato. Nel Sud d'Italia, con quattro regioni ostaggio della criminalità a causa delle complicità politiche e burocratiche, la situazione è al collasso perché si è interrotto sia il flusso finanziario clientelare che ha alimentato in maniera fittizia il tessuto economico; sia perché l'apparato pubblico non può più assorbire parte della disoccupazione attraverso l'elargizione di posti di lavoro finti.

Lungi dall'essere state risolte, la "Questione Settentrionale" e quella "Meridionale" costituiscono ormai una "Questione Italiana", pericolosa per la vita democratica nazionale ed europea. La via per avviare un percorso di soluzione dei problemi del Paese passa per la sostituzione, quasi integrale, della classe dirigente del Paese.

La questione del finanziamento ai partiti è al centro del dibattito, ma ha un valore simbolico importante. Il finanziamento pubblico consentirebbe di fare politica anche a chi non avesse le risorse personali necessarie, ma non nell'attuale sistema in cui i partiti sono totalmente staccati dal resto del Paese.  Se rivoluzione deve essere, lo si compia con un ritorno alla lettera e allo spirito della Costituzione vigente. Occorre rendere i partiti soggetti pubblici, con uno status giuridico adeguato (associazioni riconosciute). È necessario che i partiti sia obbligati alla certificazione dei bilanci e che questi siano pubblici, estendendo queste norme anche ai sindacati, attorno ai quali c'è ancora adesso una coltre impenetrabile.

Ma sui meccanismi di finanziamento della politica va scelta una strada, non si possono avere sistemi ibridi. Se si deciderà di mantenere il finanziamento pubblico, occorrerà vietare quello privato. Andrebbe però vietato subito il finanziamento ai partiti e ai singoli protagonisti della politica da parte di aziende a partecipazione statale, una vergogna nella vergogna.

L'Italia ha però bisogno di nuove facce e di nuove pratiche, perché la cittadinanza ormai si sente impotente e sente lontana la politica. Sfiducia che si riflette sulle istituzioni, un dato oggettivo non la preoccupazione di qualche analista politico. È saltato il rapporto speculare tra società politica e società civile. L'Italia si svuota delle forze migliori, che in altri Paesi trovano sistemi più aperti e efficienti. Questo è il vero impoverimento del sistema paese, sarà difficile invertire la tendenza se non si agisce subito e senza riguardo per alcuno.

Nella Lega forse l'hanno capito; ma lo capiranno i vari Alfano, Bersani, Casini, Di Pietro, Vendola, personalità in politica da decenni e corresponsabili dell'arretramento dell'Italia? Ne dubitiamo fortemente. I cittadini dovranno agire con risolutezza, nelle prossime consultazioni elettorali, e prendersi le responsabilità civiche proprie di una democrazia. Altrimenti l'unica via d'uscita resterà abbandonare l'Italia per non essere uccisi fisicamente da uno Stato mangiasoldi.

© Riproduzione riservata

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